Bancarotta fraudolenta se il pagamento di debiti usurari non è destinato alle necessità dell’impresa
L’imprenditore può essere condannato per bancarotta fraudolenta se viene provato che il pagamento di somme a titolo di debiti usurari non è destinato consapevolmente e volontariamente alle necessità dell’impresa, e se la relativa dazione di denaro “in nero”, non essendo accompagnata da una ricevuta e riportata nelle scritture contabili. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza n. 37223 del 26 luglio 2017.
L’amministratore unico di una srl dichiarata fallita è stato per aver commesso numerosi fatti di bancarotta fraudolenta e di ricorso abusivo al credito. In particolare la Corte d’appello, riformando la sentenza di primo grado, gli ha concesso le attenuanti generiche, dopo aver riconosciuto che i debiti contratti con gli usurai erano funzionali alle necessità dell’impresa, e che non poteva essere escluso lo stato di necessità poiché le somme erano state corrisposte, in nero e per libera iniziativa dell’uomo, quale pagamento, in contanti e con assegni, in relazione a un contratto di appalto (per realizzare un complesso immobiliare) e a un preliminare per investimenti francesi. L’amministratore ha proposto ricorso per cassazione e la Corte lo ha accolto.
I giudici di legittimità hanno richiamato il proprio orientamento (n. 10542/14) secondo il quale non sussiste la scriminante dello stato di necessità per il reato di bancarotta se i soci amministratori, avendo creato volontariamente e consapevolmente una situazione di pericolo per l’impresa, distraggono i beni appartenenti alla società per destinarli a creditori che pagano interessi usurari. In tali ipotesi, infatti, non ricorre né il requisito del pericolo generato per cause indipendenti dalla volontà dell’agente, né il requisito della sua inevitabilità con altri mezzi. Nella fattispecie esaminata, la Cassazione ha escluso che potesse operare la scriminate poiché il giudice di appello aveva evidenziato comunque un contributo da parte dell’imprenditore alla vicenda. Questi, infatti, aveva creato una situazione di pericolo per l’impresa, poi fronteggiata con la scelta di un eccessivo indebitamento presso le banche, e aveva stipulato contratti, prevedendo pagamenti di ingenti somme ad usurai in parte con assegni e in parte con dazione di denaro. Sarà ora il giudice del rinvio a valutare sia se le somme versate in contanti rappresentavano pagamenti in nero (verificando se erano state accompagnate da ricevute e riportate nelle scritture contabili), sia se le condotte imprenditoriali erano prive di razionalità e logica tali da originare operazioni speculative e imprudenti, con effetti anche sul piano penale.
La sentenza n. 37223/2017 della Cassazione