Bilanci, il costo ammortizzato al test del finanziamento dei soci
Il criterio di valutazione di crediti, debiti e titoli al costo ammortizzato, previsto dal decreto legislativo 139/2015, suscita ancora incertezze. (L’ESEMPIO)
A distanza di qualche mese dalle novità, ci si è ormai resi conto che i casi cui si riferisce la regola del costo ammortizzato sono (per i bilanci ordinari) principalmente questi: erogazione di finanziamenti con rilevanti costi di transazione iniziali; concessione di crediti o assunzione di debiti commerciali o finanziari infruttiferi (o fruttiferi a condizioni diverse da quelle di mercato) con scadenza superiore ai 12 mesi; acquisto di beni (in particolare immobilizzazioni) con pagamento oltre 12 mesi, senza il riconoscimento di un adeguato interesse al fornitore; erogazione di finanziamenti infruttiferi (o fruttiferi a condizioni diverse da quelle di mercato) tra socio e società.
In questo caso si realizza, come chiarito dall’esempio 2B annesso al principio Oic 15 e più volte evidenziato su queste colonne , una situazione molto particolare, con il socio-erogante che iscrive un maggior valore della partecipazione a fronte di proventi finanziari “virtuali”, e la società-ricevente che apposta una riserva di patrimonio netto a fronte di oneri finanziari che mai verserà. Si tratta di un’ipotesi non infrequente nei gruppi, ma tipica in piccole realtà “familiari” dove i soci, in genere persone fisiche, finanziano le società senza chiedere interesse. Premesso che il principio contabile non tratta il caso del socio persona fisica, ma non pare che, dal lato della società, il trattamento contabile possa discostarsi da quello indicato per i prestiti infragruppo, dall’applicazione del costo ammortizzato deriva:
•per la società finanziata il debito verso i soci verrà esposto al netto della componente finanziaria che, ancorché non pagata, dovrà essere rilevata progressivamente. Il beneficio per il mancato pagamento di oneri finanziari viene considerato una riserva di patrimonio netto;
•per il socio persona fisica vi sono dubbi interpretativi, in quanto il “virtuale” provento finanziario non è mai incassato, e questo sembrerebbe non legittimare alcun incremento nel valore della partecipazione.
Oltre che delicate conseguenze di natura contabile (la società finanziata si trova con una maggiore dotazione di patrimonio netto iniziale, via via “compensata” dai minori utili generati a seguito della registrazione di oneri finanziari), l'operazione presenta complesse ricadute fiscali:
•sulla società, che “genera” oneri finanziari, i quali dovrebbero essere riconosciuti a tutti gli effetti come tali, e una maggiore dotazione di patrimonio netto, che potrebbe (ma sul punto sono stati annunciati i necessari chiarimenti) rilevare o meno ai fini dell’Ace;
•sul socio, che non percepisce proventi finanziari, e che quindi non dovrebbe avere problemi di tassazione di un reddito non incassato, ma che non dovrebbe vedersi riconosciuto maggior valore fiscale della partecipazione.
Molti cercheranno di “superare” gli imbarazzi qui accennati, applicando, anche per le operazioni effettuate dopo il 1° gennaio 2016 (la “novità” del costo ammortizzato ha effetto prospettico, e quindi non interessa le operazioni generatesi fino a tutto il 2015) le vecchie, più semplici, regole. Le condizioni necessarie alla disapplicazione del costo ammortizzato (per chi redige il bilancio in forma ordinaria) sono però, anche in alternativa:
•la presenza di un tasso di remunerazione sostanzialmente in linea con quello di mercato (con le difficoltà di individuazione di un parametro che si ritiene debba essere in qualche modo riferito al “rating” della partecipata);
•la scadenza del finanziamento non superiore a 12 mesi, o, comunque, non predefinita oltre tale limite. Queste erogazioni costituiscono spesso dotazioni a lungo termine (e in questo senso va ricordato lo stesso articolo 2467, comma 1, Codice civile, con il principio della postergazione “legale”). Tuttavia, sembra che la fissazione di una scadenza “giuridica” di 12 mesi, o più breve, magari tacitamente rinnovabile, possa evitare il problema, almeno sino a quando l’istituto di credito a cui eventualmente la partecipata si rivolge per un ulteriore finanziamento non imponga una postergazione al finanziamento soci.