Contabilità

Bilanci, tre metodi per gestire le rivalutazioni

I riflessi ficali del modo sceto per incrementare il valore del bene - All’interno della categoria omogenea concesso fare scelte diverse

Con l’approssimarsi della redazione dei bilanci 2020, il tema della rivalutazione dei beni assume notevole rilevanza. E in particolare diventa importante decidere con quale metodo eseguire l’incremento del valore del bene: questione tipicamente contabile, ma con notevoli riflessi fiscali.

Agevolazioni a confronto

Prendiamo in considerazione le due rivalutazioni che hanno rilevanza anche fiscale: cioè quella stabilita dall’articolo 110 del Dl 104/20, di carattere generale e con imposta sostitutiva al 3%; e quella per il settore alberghiero termale, ex articolo 6-bis del Dl 23/20, senza imposta sostitutiva.

Oltre all’assenza della sostitutiva, la rivalutazione del settore alberghiero/termale è caratterizzata dall’obbligo di rivalutare tutti i beni appartenenti alla medesima categoria omogenea; obbligo che invece non sussiste nella rivalutazione generale. Questa differenza, tuttavia, non deve trarre in inganno: non è infatti necessario usare lo stesso metodo di rivalutazione all’interno della categoria omogenea, ma occorre rispettare un unico criterio rivalutativo.

Pro e contro dei tre metodi

Va ricordato che i metodi di rivalutazione sono tre, codificati dall’articolo 5 del Dm 162/2001; mentre i criteri rivalutativi sono due (valore d’uso “ interno” e valore di mercato “ esterno”): l’obbligo di uniformarsi a un unico riferimento vale solo per il criterio (articolo 4, comma 8 del Dm 162/2001) e non per i metodi. Fermo restando che per la rivalutazione di cui all’articolo 110 del Dl 104/20 non c’è l’obbligo rivalutare tutti i beni della categoria omogenea, si ritiene che, ove siano rivalutati due beni appartenenti alla medesima categoria omogenea, resti l’obbligo di uniformarsi a un unico criterio rivalutativo.

1. Il primo metodo rivalutativo, e certamente quello più semplice, è incrementare il costo storico del bene del saldo attivo. Il differenziale tra costo storico incrementato e fondo d’ammortamento (rimasto inalterato) non deve superare il valore d’uso o quello di mercato a seconda della scelta eseguita sul criterio. I pregi di questo metodo sono senza dubbio la semplicità del suo utilizzo, e la convenienza fiscale per le imprese che presentano problemi di elevato reddito, poiché le quote d’ammortamento dal 2021 verranno calcolate su un dato più alto rispetto al costo storico e quindi si avranno costi deducibili altrettanto più rilevanti.

L’aspetto negativo consiste nel possibile allungamento del processo di ammortamento, che non dovrebbe realizzarsi a seguito della rivalutazione (così il documento Oic 7 in corso di pubblicazione, par. 14); mentre se vengono mantenuti i medesimi coefficienti di ammortamento degli anni precedenti vi sarà una dilatazione del processo. Che ai fini fiscali ciò non sia un ostacolo emerge chiaramente dalla prassi dell’agenzia delle Entrate, che in tal caso giudica praticabile sia mantenere inalterato il processo di ammortamento incrementando il coefficiente (e recuperando a tassazione la parte di costo superiore a quello derivante dalla applicazione dei coefficienti di cui al Dm 31 dicembre 1988), sia mantenere stabili i coefficienti e allungare la vita utile del bene (da ultimo circolare 14/E/2017, par. 3).

2. Il secondo metodo è il più complicato e l’unico che permette di rispettare la prevista vita utile del bene. Consiste nella rivalutazione sia del costo storico sia del fondo di ammortamento, assicurandosi che il differenziale tra i due rispetti il tetto dal valore massimo rivalutabile.

Tale metodo ha il pregio, teorico, di rispettare le indicazione dell’Oic 7 e permette di ottenere quote di ammortamento di entità significativa, poiché calcolate sul costo storico incrementato. Il problema, però, è che l’Agenzia (a partire dalla circolare 11/E/2009, par. 3) ha iniziato a sostenere che il bene incrementato nell’attivo lordo non può mai superare il costo di sostituzione (cioè quanto dovrebbe essere investito per acquistare un bene nuovo che svolga le funzioni di quello che si intende rivalutare). Questo “tetto” di rivalutazione , che si applica anche sul primo metodo, comporta generalmente l’allungamento della vita utile del bene e quindi vanifica l’assunto civilistico di cui sopra.

3. L’ultimo metodo consiste nella mera riduzione del fondo di ammortamento, che comporta l’allungamento della vita utile del bene e lo stanziamento di quote annuali non particolarmente elevate poiché parametrate al costo storico. Un metodo semplice e interessante per le imprese che non avendo un utile significativo non intendono comprimerlo troppo con ammortamenti elevati.

GLI ESEMPI
La situazione di partenza

Un’impresa possiede immobile con costo storico di 100.000 €, ammortizzato al 31 dicembre 2019 per 70.000, con valore netto quindi pari a 30.000.

La vita utile residua del bene è stimata in 10 anni. Il valore di mercato è 310.000.
Il valore di sostituzione è invece pari a 350.000.

Si determina un saldo attivo di 280.000 su cui viene versata l’imposta sostitutiva pari al 3% di 280.000: cioè 8.400.
Il coefficiente d’ammortamento è del 3 per cento .

Primo metodo: Rivalutazione del costo storico e del fondo

Per calcolare l’incremento del costo e del fondo si parte dal saldo attivo (280.000), da ammortizzare in 10 anni: quota annua di 28.000.

28.000 : 0,03 = 933.333 (montante).

933.333 + 100.000 = 1.033.333 (nuovo valore lordo rivalutato).

A questo punto si aprono due vie:

1. (non considerando la circolare 11/E/2009):

1.033.333 – 310.000 = 723.000.

Il fondo va incrementato da 70.000 a 723.000 €.

Il bene viene iscritto per 1.033.333 con un fondo di 723.000 e un valore netto di 310.000.

La quota annuale d’ammortamento deducibile dal 2021 è pari a 31.000 e l’ammortamento rispetta la vita utile stimata di 10 anni e

l’aliquota massima deducibile (3 per cento).

2. (considerando la circolare 22/E/2009)

Valore massimo di iscrizione nell’attivo = 350.000 €.

Calcolo del fondo (valore originario 70.000) 350.000 – 310.000 = 40.000.

Fondo ridotto a 40.000 (da 70.000).

Ammortamenti pari a 10.500 € deducibili da 2021.

Lasso temporale di 30 anni per il processo di ammortamento (contro i 10 anni originari).


Secondo metodo: Rivalutazione del solo costo storico

Operando con questo metodo si dovrebbe sommare al costo storico di 100.000 € l’intero saldo attivo pari a 280.000 €: quindi 380.000 €.

Ma anche in questo caso, come con l’applicazione del primo metodo, viene superato il costo di sostituzione.

Dovendo o volendo rispettare le indicazioni dell’agenzia delle Entrate si perviene alla medesima situazione del caso precedente: cioè il bene viene iscritto a 350.000 € e il fondo viene ridotto a 40.000 €.

La quota di ammortamento annuale deducibile è uguale al primo caso.

Terzo metodo: Rivalutazione per decremento del fondo

Per incrementare il bene di 280.000 € si procede anzitutto ad azzerare il fondo di ammortamento.

Pertanto il bene viene iscritto nell’attivo per il valore di 310.000 € con un saldo attivo sempre pari a 280.000 €, formato da 70.000 di riduzione del fondo e 210.000 di incremento dell’attivo lordo.

La quota di ammortamento sarà pari a 9.300 € annui deducibile dal 2021.

L’ammortamento verrà concluso in 34 anni.

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