Bonus facciate, come dimostrare che l’edificio ricade in una zona A o B
Il certificato del Comune è la via più semplice per provare l’ubicazione ma il contribuente può usare altri elementi
Nonostante l’attenzione generale sia rivolta a ben altri temi, può essere opportuno guardare avanti e in particolare al momento in cui l’operatività del Paese tornerà a pieno regime. In questa prospettiva, il ruolo di propulsore per il settore edilizio del nuovo “bonus facciate” non deve essere dimenticato. Anche per questo, le incertezze emerse circa l’ambito di applicazione dell’agevolazione, derivanti dalla sovrapposizione di circolari erariali e note ministeriali, meritano di essere meglio inquadrate.
La ripartizione delle zone A e B
I dubbi sono sorti sin dalla prima lettura del comma 219 della legge 160/2019, per il quale il bonus trova applicazione solo per gli interventi sugli edifici siti nelle zone territoriali omogenee A e B ex Dm 1444/68. Le Zone A individuano i centri storici urbani (edifici e tessuto edilizio di interesse storico ed architettonico) e le aree circostanti, che ne sono parte integrante per caratteristiche corrispondenti; mentre le Zone B includono le aree di completamento delle prime, edificate totalmente o parzialmente (intendendosi, queste ultime, quelle ove più di un ottavo della superficie fondiaria è edificata, e la densità territoriale è maggiore del rapporto 1,5 mc/mq).
Incentivo valido nelle «aree assimilabili»
Ora, poiché è stato fatto notare che molti Comuni non avevano ripartito il loro territorio nelle zone omogenee indicate nel Dm, affidandosi a denominazioni differenti, la circolare delle Entrate 2 del 14 febbraio 2020 ha pragmaticamente indicato ai contribuenti (e ai suoi uffici) che è ammesso dimostrare la spettanza del beneficio, provando che gli edifici oggetto degli interventi ricadono in zone «assimilabili» a quelle del Dm, mediante l’esibizione di certificazioni urbanistiche degli enti competenti. La successiva nota del ministero dei Beni culturali 4961 del 19 febbraio 2020 ha poi sottolineato, dal canto suo, che tale dimostrazione può essere resa anche senza ricorrere a specifiche certificazioni degli uffici tecnici comunali, potendo essere sufficiente fare rinvio alle risultanze degli strumenti edilizi ed urbanistici comunali.
Come certificare il diritto al bonus
L’apparente contrasto tra la circolare e la nota sopra citate, circa l’obbligatorietà o meno della certificazione comunale per le zone «assimilabili» o «equipollenti» a quelle A e B, merita di essere inquadrata, e superata, alla luce dei principi generali disciplinanti le agevolazioni fiscali in generale, il bonus facciate in particolare, e il tipo di controlli fiscali esperibili, come di seguito spiegato.
Per regola generale, chi gode di un’agevolazione fiscale deve poter dimostrare, in caso di controllo, la sussistenza dei requisiti previsti dalla legge per la stessa. Da ciò deriva che il contribuente, beneficiante del “bonus facciate”, deve provare che gli interventi hanno riguardato edifici (di qualunque natura) siti nei centri storici, nelle aree circostanti e nelle zone edificate di completamento, se totalmente edificate o dal carico di edificazione non esiguo in rapporto ai parametri visti (essendo richiesto che, in tali zone, più di un ottavo della superficie sia edificata e che l'indice di edificabilità sia superiore alla soglia determinata dal Dm). Come più volte sottolineato, del resto, l'obiettivo perseguito dal legislatore è quello di riqualificare, esteticamente ed energeticamente, i fabbricati dei centri storici urbani e delle zone a corona di essi; con esclusione, evidentemente, degli anelli urbani residenziali di espansione più periferici, delle aree industriali e delle campagne.
La scelta del legislatore di fare riferimento alle definizioni del Dm del 1968 risponde all'esigenza di delineare, in maniera uniforme e per tutto il territorio nazionale, l'ambito di applicazione della norma fiscale agevolativa, a prescindere dalle differenze determinatesi localmente e nel tempo, a seguito dell'evoluzione su scala regionale e comunale della disciplina edilizia e urbanistica del territorio.
In questo contesto, la circolare delle Entrate 2/2020 è di assoluta utilità, perché da essa si evince chiaramente che la certificazione del Comune è il documento più oggettivo, per poter dimostrare all'Erario che il beneficio spetta. È da ricordare, infatti, che gli uffici erariali verificano la spettanza delle detrazioni d'imposta sulla scorta di un controllo documentale, ai sensi dell'articolo 36-ter Dpr 600/73. Dunque, tanto più oggettiva ed esaustiva la documentazione è, tanto minore è il rischio di recuperi e di contestazioni.
L’indicazione del Mibact ai Comuni
In tale quadro, la Nota del Mibact andrebbe letta nel senso che gli è proprio. Dunque, non tanto rivolta ai contribuenti o al Fisco, quanto alle amministrazioni locali (non a caso essa è indirizzata ai sindaci di alcuni Comuni), a cui è ricordato che la mancata suddivisione del territorio in zone omogenee da A ad F non vanifica la pianificazione «equipollente» del territorio, dove devono comunque applicarsi i limiti di densità edilizia. Che siano stati adottati Pgt o Puc, dunque, nulla osta a certificare che un dato edificio ricade in una zona «assimilabile» a quelle A o B: essendo tale informazione ritraibile dallo strumento di pianificazione adottato, che dà conto della densità edilizia territoriale e del carico complessivo di edificazione che può gravare su ciascuna zona in esso considerata (Consiglio di Stato, sentenza 32/2013).
Cosa fare in assenza della certificazione comunale
In ogni caso i contribuenti, in assenza di qualsivoglia tipo di certificazione comunale, avranno sempre il diritto di dimostrare al Fisco, o al giudice tributario, l'ubicazione degli edifici oggetto degli interventi, eventualmente anche mediante il puntuale richiamo dello strumento di pianificazione urbanistica locale o alla normativa regionale. Ciò vale per regola generale e a prescindere tanto dalla circolare (che individua, nella certificazione dell'ente, la prova ideale), quanto dalla nota Mibact. Nessuno dei due atti di prassi, infatti, è fonte del diritto e vincolante nei confronti dei contribuenti.
Un aiuto alle Regioni
Un ultimo aspetto è da considerare. La circolare 2/2020 ricorda che anche la normativa regionale può individuare le zone dei Prg da assimilare a quelle agevolabili. Tale richiamo sembra essere un utile assist per quelle Regioni che non hanno applicato il Dm 1444/1968; e che evidentemente non possono ora quantificare l'edificazione intervenuta secondo i parametri del Dm, misurando ovunque superfici e cubature. Per facilitare il godimento dell'agevolazione, tali Regioni potrebbero allora individuare le zone “assimilabili” alle A e B per esclusione, come ambiti della pianificazione urbanistica generale regionale diversi dai centri storici (che nei Prg sono delimitati con esattezza), dalle zone di espansione e agricolo-produttive. Poichè la Circolare non invoca alcuna “legge” regionale, si può affermare che una deliberazione del Consiglio regionale in questo senso parrebbe ampiamente sufficiente a costituire la “normativa regionale” di riferimento per molti contribuenti.
Pierpaolo Ceroli, Mario Cavallaro
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