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Bonus ricerca e sviluppo, investimenti a rischio tra nuovi e vecchi incentivi

Urgente un intervento per chiarire la riformulazione contenuta nella legge di Bilancio

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di Francesco Leone

Premessa la necessità di una rivisitazione più generale della normativa sul credito d’imposta in ricerca, sviluppo e innovazione, è bene ricordare che le imprese sono ancora in attesa di comprendere la portata delle novità introdotte con la legge di Bilancio 2020. Ben comprendendo le difficoltà attuali, è auspicabile che sopraggiunga qualche chiarimento, partendo dall’emanazione del decreto attuativo (la cui adozione doveva aver luogo entro il mese di febbraio). Ciò si rende necessario per chiarire almeno i principi della nuova disciplina attraverso un inquadramento generale delle novità introdotte, che tenga conto altresì delle (ulteriori) incertezze interpretative emerse, con riferimento alla previgente disciplina, a seguito dei primi controlli effettuati dall’agenzia delle Entrate.

Il bonus
Il credito in ricerca e sviluppo, così come conosciuto fino al 2019, è stato “diviso” in tre diversi crediti d’imposta a partire dal 2020:

- credito in R&S;

- credito per attività di innovazione tecnologica (PPT);

- credito per attività di design e ideazione estetica.

Quest’ultimo risulta di facile identificazione rispetto al settore tessile e della moda, potendo far riferimento ad un set di definizioni ad hoc formalizzate in passato dal Mise (circolare n. 46586 del 16/4/2009). Dette definizioni potrebbero peraltro rappresentare, mutatis mutandis, una buona base di partenza per definire cosa deve intendersi per design e ideazione artistica negli altri settori identificati dalla norma (calzature, occhiali, mobili e arredi). Si dovrà attendere il Dm per confermare (come pare) la tassatività dell’elenco normativo; un’interpretazione più ampia, sarebbe tuttavia auspicabile dato che le citate attività agevolate caratterizzano anche altri settori.
Se non fosse necessario coordinare la nuova disciplina con la precedente e se quindi si potesse prescindere dalle interpretazioni già fornite dall’agenzia delle Entrate, la definizione di innovazione non risulterebbe complicata.
Queste necessità portano a richiedere un chiarimento preliminare (anche per comprendere meglio il passato) e, cioè, se con la nuova disciplina si siano voluti introdurre o meno dei “nuovi” crediti d’imposta.

Le interpretazioni
Una prima possibile chiave di lettura porterebbe ad attribuire una continuità definitoria tra le diverse discipline e, quindi, indurrebbe ad attribuire alla disciplina introdotta con la legge di Bilancio una funzione limitata alla differenziazione delle regole applicative rispetto alle diverse attività svolte dalle imprese, nonché alla rimodulazione e alla differenziazione della misura dell’agevolazione (12% o 6 per cento). Se i nuovi crediti non fossero altro che il vecchio credito “riformulato”, si rassicurerebbero le imprese che hanno fruito, fino al 2019, del precedente credito R&S anche per attività oggi identificate come innovazione o design.
Una diversa (e possibile) chiave di lettura avrebbe, di contro, conseguenze significative. La nuova disciplina potrebbe essere considerata come una vera e propria novità, a cui attribuire la funzione di chiarire cosa debba intendersi per ricerca e sviluppo e cosa invece rappresenti tutt’altro. In tale prospettiva, la nuova disciplina da un lato confermerebbe il credito R&S precedente e dall’altro amplierebbe l’ambito oggettivo dell’incentivo, includendo nuove fattispecie agevolabili (innovazione e design). A questa conclusione, ad esempio, si giungerebbe volendo attribuire una forte valenza sostanziale ai rinvii operati, ai fini definitori, a differenti documenti Ocse per qualificare le diverse attività.

I manuali
In sostanza, si potrebbe affermare che se la previgente disciplina rinviava (indirettamente, trattandosi di un rinvio espresso dall’agenzia delle Entrate) al solo manuale di Frascati, mentre l’attuale disciplina rinvia a quest’ultimo manuale per il credito R&S e al manuale di Oslo per il credito per l’innovazione (peraltro direttamente, trattandosi di un rinvio espresso dalla norma), probabilmente le attività oggi agevolabili sono da intendere diverse da quelle agevolabili in passato. Siffatta interpretazione (illogica se si tiene conto dell’assenza di pregresse chiare indicazioni sull’argomento) potrebbe portare talune imprese a dover riconsiderare le attività assunte ai fini del beneficio fino al 2019.
Il Dm poi dovrà affrontare numerose altre questioni tra le quali, ad esempio, coordinare, la (rigida) posizione assunta dall’Agenzia riguardo al concetto di «novità di settore» (si veda circolare 8/E del 2019) con il concetto di «novità aziendale» caratterizzante l’innovazione definita nel manuale di Oslo.