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Bonus ricerca e sviluppo, sanatoria incostituzionale: solo il fisco ci guadagna

di Enrico De Mita

I contribuenti che, alla data di entrata in vigore del decreto legge 146/2021, ossia al 22 ottobre, hanno utilizzato in compensazione il credito d’imposta per investimenti in attività di ricerca e sviluppo per gli anni 2015-2019, possono effettuare il riversamento dell’importo del credito utilizzato, senza applicazione di sanzioni e interessi.

La precisazione, quasi pleonastica, che segue, dà la misura del lodevole intento dell’esecutivo sul piano delle intenzioni, ma insufficiente sul piano costituzionale e istituzionale.

Infatti la norma continua illustrando che la procedura di «riversamento» spontaneo è riservata ai soggetti che nei periodi d’imposta indicati 2015-2019 abbiano «realmente svolto, sostenendo le relative spese, attività in tutto o in parte non qualificabili come attività di ricerca e sviluppo ammissibili nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta».

Dalla procedura di «riversamento» sono esclusi i casi in cui il credito d’imposta utilizzato in compensazione sia il risultato «di condotte fraudolente, di fattispecie oggettivamente o soggettivamente simulate, di false rappresentazioni della realtà basate sull’utilizzo di documenti falsi o di fatture che documentano operazioni inesistenti, nonché nelle ipotesi in cui manchi la documentazione idonea a dimostrare il sostenimento delle spese ammissibili al credito d’imposta».

La procedura di «riversamento» spontaneo del credito d’imposta, neologismo della dottrina del fisco, dovrebbe rappresentare una misura per superare alcune incertezze interpretative connesse alla disciplina del credito d’imposta in materia di ricerca e sviluppo o meglio in materia di research and development, visto che, nel nostro ordinamento, continua a mancare una disciplina in lingua italiana. I Frascati Manual e Oslo Manual esistono stabilmente in lingua inglese.

Il decreto fiscale può essere salutato come un’occasione – per ora – persa: il «riversamento spontaneo» delle imposte indebitamente non versate, sanerebbe sanzioni e interessi.

A ben vedere, a questo risultato sono già arrivati tutti i giudici tributari di merito, tutti concordi nell’invocare almeno l’articolo 10 dello Statuto del contribuente per obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma relativa al credito.

Tutti gli operatori del diritto in materia di R&D devono districarsi nella selva di circolari, risposte, risoluzioni di Mise e Mef.

Solo l’agenzia delle Entrate ritiene, nelle sue verifiche e atti di recupero, di improvvisarsi esperta in materie tecnologiche e scientifiche che esulano dal suo ambito di competenza.

Nessun giudice potrebbe negare l’incontestabile complessità della fattispecie normativa e la sua attuale carenza di disciplina normativa, in patente violazione dell’articolo 23 della Costituzione in una con l’articolo 53 e con l’articolo 24 della Costituzione.

La stessa individuazione della fattispecie impositiva-agevolativa passa attraverso il deposito, in sede giurisdizionale, dei “Frascati Manual” e “Oslo Manual” in lingua inglese e in forma integrale, con evidente implosione del sistema della gerarchia delle fonti.

In materia di ricerca e sviluppo si avverte questa elementare esigenza: avere una disciplina, in lingua italiana, definita, chiara e certa, senza suggestivi rinvii a “manuali” che non esistono in Italia se non in forma di stralci eterodossi, che hanno l’autorità di ufficiosi rumors.

Bisognerà pur vincere le gelosie di chi resiste ad una traduzione ufficiale in lingua italiana dei citati manuali. Occorre spezzare questi ceppi che avvincono l’applicazione del credito d’imposta in esame.

A ben vedere il riversamento spontaneo, che vuol dire versare di nuovo, costituisce una contraddizione in termini che traduce l’ammissione della doppia imposizione.

I contribuenti virtuosi possono essere attratti dalla prospettiva di andare esenti da sanzioni e interessi.

Ma l’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000, al primo e secondo comma, punisce il mancato versamento di somme dovute per crediti non spettanti o inesistenti, per importo superiore a 50mila euro.

Quindi, il Dl fiscale, per come è attualmente formulato, propone, preterintenzionalmente, ai contribuenti virtuosi di confessare, con il «riversamento spontaneo», di aver indebitamente utilizzato il credito, con inevitabili ricadute sul piano penale.

Infatti, la punibilità è esclusa solo in caso di ultimazione dei pagamenti rateizzati.

Ho già scritto che ritengo personalmente diabolico, nell’assenza di una disciplina normativa e nel roveto di istruzioni di prassi amministrativa, poter ascrivere un fatto di reato in capo al contribuente, salvi ovviamente i casi di frode che non c’entrano con quanto stiamo analizzando.

L’attuale formulazione della norma non è una soluzione, né una proposta di soluzione; comunque apre al suo immediato superamento e all’immediata introduzione di una riflessione seria sulla materia, che richiede studio e applicazione da parte di chi sta scrivendo le norme e il futuro della ricerca e dello sviluppo di moltissime pregiate esperienze imprenditoriali che, insieme alla disciplina del rapporto tributario, non vogliono cadere nelle panie delle riedizioni del solve et (non) repete.

In questo caso esiste soltanto il solve, il pagamento, il «riversamento». Una sorta di “autotassazione nel dubbio” che, ancora una volta, colpirebbe le società serie, che hanno effettivamente fatto spese per ricerca e sviluppo, non certo quelle coinvolte in vicende fraudolente che rimangono impermeabili alle norme e, naturalmente, agli inviti a regolarizzare o a riversare alcunché.

Ora, se esiste questo dubbio, è compito del legislatore rimuoverlo, a partire dal rispetto dell’articolo 23 della Costituzione, ossia del principio di legalità in materia tributaria.

Finché non esisteranno fonti normative, sia pur integrative, in lingua italiana, tale principio non può dirsi rispettato.