Bonus R&S in fuorigioco sulla ricerca commissionata da soggetti esteri
A ridosso della scadenza della presentazione della dichiarazione dei redditi 2019 (oggi lunedì 2 dicembre), molti contribuenti si sono ritrovati alle prese con le ultime analisi per la quantificazione del credito di imposta ricerca e sviluppo da indicare nell’apposita sezione del modello, e, come spesso accade purtroppo, hanno dovuto fare i conti con alcune interpretazioni che ne rendono difficile la fruizione.
Ricordiamo che il credito di imposta ricerca e sviluppo è stato introdotto dall’articolo 3, Dl 145/2013, il quale ha previsto un credito di imposta in favore di tutte le imprese residenti che effettuano attività di ricerca e sviluppo a decorrere dal periodo d’imposta 2015, commisurato, per ciascun esercizio, all’eccedenza degli investimenti rispetto alla media degli investimenti realizzati nel triennio 2012-2014.
Successivamente, con la legge di Bilancio 2017 è stata apportata un’importante modifica normativa con l’inserimento del comma 1-bis; infatti, viene estesa l’agevolazione, dal punto di vista soggettivo, anche a tutte quelle imprese residenti (o stabili organizzazioni di soggetti non residenti) che svolgono attività di ricerca e sviluppo per conto di imprese committenti non residenti (cosiddetta ricerca commissionata).
Tale modifica normativa, finalizzata ad attrarre i fondi della ricerca nel nostro Paese, era stata accolta con grande entusiasmo dalle aziende italiane, in quanto, la normativa Italiana era (ed è) una delle più favorevoli in ambito europeo.
Purtroppo, alcune interpretazioni di prassi prima (si veda la nota del Mise del 9 novembre 2018) e legislative poi (interpretazione autentica legge di Bilancio 2019, articolo 1, comma 72), hanno stabilito che il comma 1-bis dell’articolo 3, Dl 145/2013 si deve interpretare nel senso che ai fini del calcolo del credito d’imposta assumono rilevanza esclusivamente le spese ammissibili relative alle attività di ricerca e sviluppo svolte direttamente (e internamente) e in laboratori o strutture situati nel territorio dello Stato italiano.
Tale interpretazione “restrittiva”, che sembrerebbe contrastare con la ratio della norma del 2017, ha colpito soprattutto tutte quelle imprese farmaceutiche che svolgono in Italia attività di ricerca e sviluppo nell’ambito della sperimentazione clinica per conto di altre società del gruppo non residenti.
Ricordiamo, infatti, che la sperimentazione clinica è una fase obbligatoria e fondamentale per lo sviluppo di un farmaco, che prevede, tra l’altro, la somministrazione del farmaco sull’essere umano.
Considerata l’importanza e la peculiarità dell’attività, le aziende farmaceutiche esternalizzano tale fase della ricerca ad ospedali, istituti pubblici, strutture universitarie, enti pubblici e privati destinati alla ricerca, non potendo gestire internamente tale fase della ricerca clinica per “impossibilità” oggettiva.
Un tipico esempio è quello di una società non residente (società Alfa) che commissiona parte della ricerca all’affiliata italiana (società Beta); quest’ultima svolge parte della ricerca direttamente (e internamente) nei propri laboratori e con il proprio personale e parte la esternalizza ad ospedali universitari (ente Gamma: solitamente la fase della ricerca clinica che prevede anche la somministrazione del farmaco sull’essere umano).
La parte della ricerca esternalizzata (per obiettive ragioni) di fatto “sfugge” al beneficio, in quanto non spettante né al soggetto non residente Alfa, poiché non può accedere all’agevolazione essendo non residente, né al soggetto residente Beta, poiché non svolge direttamente ed internamente l’attività.
Sebbene l’interpretazione normativa potrebbe trovare un senso nell’ambito della lotta alle condotte abusive, sarebbe comunque auspicabile da parte del legislatore operare un distinguo in tutti quei casi e ambiti in cui “oggettivamente” la ricerca deve essere subappaltata all’esterno dell’azienda.
Infatti, non sembra sufficiente a porre rimedio all’interpretazione autentica restrittiva, l’orientamento del Fisco che ha previsto che il credito ricerca e sviluppo potrebbe essere comunque usufruito dal soggetto residente che effettua la ricerca in subappalto (nell’esempio, ente Gamma), in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi sono enti che svolgono la ricerca nell’ambito della propria attività istituzionale (e, quindi, esclusi dalla normativa).
Inoltre, i gruppi multinazionali non avrebbero nessun interesse ad investire nel nostro Paese per far sì che il credito spetti ad un soggetto terzo rispetto al gruppo, con la conseguenza che potrebbe venir meno proprio la finalità del legislatore che era quella di attrarre in Italia i fondi della ricerca.