Bonus R&S, limiti più larghi anche per i progetti già avviati
Il nuovo decreto Mise non ha effetti solo per il futuro ma anche per il passato
Il nuovo decreto a cura del Mise relativo al credito d’imposta non avrà effetti solo per il futuro. Infatti a ben vedere, questo decreto trova le proprie origini, storiche e cronologiche, in documenti che sono stati già considerati nel precedente credito d’imposta, a valere per i periodi dal 2015 al 2019. In particolare ci riferiamo all’identificazione delle attività che siano state e siano ammissibili al credito d’imposta per ricerca, sviluppo ed innovazione.
I riferimenti comuni
Infatti, sia nella prassi ante 2020 sia nel nuovo decreto, vi sono molteplici riferimenti, identici e comuni ai due provvedimenti, a documenti e manuali di natura comunitaria e dell’Ocse. Come ben noto, la materia è regolata, almeno per quanto riguarda i principi generali da tre documenti/atti fondamentali: la comunicazione della Commissione europea 2014/C 198/01 del 27 giugno 2014, unitamente ai Manuali di Frascati (versione 2015) e quello di Oslo (versione 2018).
Questo chiaro e diretto riferimento ai tre documenti permette di comparare e rendere sovrapponibili certamente le aree dove l’agevolazione operi, avendo questa identica matrice genetica ed identitaria. Questa interpretazione autentica permetterà di dipanare e risolvere rispetto a taluni temi, il contenzioso presente o futuro che si sia manifestato o che si manifesterà rispetto alle attività considerate idonee per il “vecchio” credito d’imposta.
Continuità delle attività ammesse
Questo principio di continuità rispetto al passato, almeno per le attività ammesse, è rafforzato e dichiarato dallo stesso Mise sia nell’articolo 2, comma 2 (attività di R&D) sia nell’articolo 3, comma 2 (attività di innovazione tecnologica), ed infine nell’articolo 4, comma 1 (attività di design e ideazione estetica), in cui il ministero ammette la possibilità di agevolare le attività “anche in relazione a progetti avviati in periodi d’imposta precedenti”, sotto l’egida quindi della precedente versione normativa.
Analizziamo quali siano le puntualizzazioni a valere per il passato, incluse nel decreto:
● è riconosciuto come valevole quell’attività diretta all’adattamento delle conoscenze provenienti da un altro settore al fine di consentire un avanzamento o un progresso in un altro mercato;
● l’attività svolta e la connessa agevolazione esula dal conseguimento dei risultati, individuati all’inizio come obiettivi. Non è specificato ma il Manuale di Frascati (paragrafo 2.18) esplicita che le cause, per il mancato raggiungimento, in tutto o in parte degli obiettivi prefissati, possono essere dipesi da: impossibilità tecnica, insufficienza sia del tempo a disposizione sia dei mezzi economici per finanziare/realizzare l’attività. Tali deficit o sforamenti non dovevano essere noti al momento in cui venne pianificata inizialmente l’attività;
● sono riconosciute le attività per ricerche e sviluppo i cui risultati siano già presenti (conosciuti) sul mercato di riferimento ma che siano indisponibili perché secretati o di difficile reperibilità. Fa eccezione a questo importantissimo passaggio, la disponibilità degli esiti delle ricerche in imprese appartenenti allo stesso gruppo o per le stesse l’aver già tentato il raggiungimento degli obiettivi con altre aziende sempre appartenenti alla stessa proprietà.
L’attività di innovazione
A tal proposito merita un approfondimento il riconoscimento dell’attività di innovazione per il passato, in riferimento al contenuto del precedente punto c) che ha dato luogo a differenti interpretazioni fra il contribuente l’agenzia delle Entrate.
L’innovazione tecnologica di cui all’articolo 3 del decreto, a parità di attività svolta, si differenzia rispetto alla ricerca sperimentale di cui all’articolo 2 - oltre che per l’aliquota agevolata decisamente inferiore rispetto agli investimenti effettuati (6% contro il 12%) - perché “i prodotti o i processi nettamente migliorati” sono tali (e devono essere considerati tali) solo rispetto “a quelli già realizzati dall’impresa” e non invece rispetto al settore in cui l’azienda operi (dove agisce invece l’articolo 2).
Le due agevolazioni
Tuttavia la discriminante fra le due agevolazioni (articolo 2 rispetto all’articolo 3) è dovuta anche e soprattutto alla mancata disponibilità o fruibilità, anche presso terze imprese, delle conoscenze necessarie per il miglioramento dei prodotti o dei servizi: l’impossibilità all’ottenimento di tali conoscenze permette all’impresa di switchare gli investimenti dall’innovazione tecnologica alla ricerca e sviluppo (più specificatamente di approdare molte volte quindi allo sviluppo sperimentale).
Tanto è vero che in chiusura dell’articolo 2, il Mise apre alla possibilità del riconoscimento del credito d’imposta nel caso in cui le medesime attività di R&D siano svolte contemporaneamente da altre aziende indipendenti nello stesso settore di appartenenza. È chiaro che rispetto ai contenziosi in essere sul passato credito d’imposta, la conferma di siffatti principi aprono a nuovi scenari rispetto alla difesa del contribuente, anche in sede di contraddittorio.