Controlli e liti

Bonus Sud, l’interdittiva antimafia può portare a un recupero tardivo

L’emissione del nulla osta oltre il termine di 45 giorni pone diversi problemi operativi alle imprese

di Alessandro Sacrestano

Il riconoscimento del bonus investimenti nel Mezzogiorno (articolo 1, commi da 98 a 108, legge 208/2015), in ipotesi di agevolazione richiesta per un importo complessivamente superiore a 150mila euro, è sottoposto al preventivo nulla osta antimafia.

Il tax credit, infatti, figura tra i contributi, finanziamenti o mutui agevolati e altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali che, stando al disposto dell’articolo 67, comma 1 lettera g del Dlgs 159/2011, necessitano dell’obbligatoria acquisizione della documentazione antimafia.

Si ricorda che, fino al momento della piena operatività della Banca dati nazionale unica, il termine per il rilascio della documentazione antimafia è di 45 giorni dal ricevimento della richiesta; tuttavia, qualora le verifiche disposte siano di particolare complessità, è prevista, previa comunicazione all’Ente interessato, una proroga di ulteriori 45 giorni.

Si tratta, comunque, di un termine “ordinatorio”, quasi mai rispettato dalla pubblica amministrazione, con il risultato che, spesso, le richieste di concessione del bonus restavano inevase per lunghi periodi.

Le iniziali difficoltà incontrate nella gestione della procedura, quindi, sono state superate lo scorso 3 luglio 2018 con una circolare del ministero dell’Interno (n. 11001/119/20(8)-A) che, accogliendo la soluzione operativa proposta dall’amministrazione finanziaria e le continue sollecitazioni da parte di Confindustria, ha previsto che, nel caso in cui il provvedimento antimafia fosse rilasciato oltre il termine ordinatorio prescritto, l’agenzia delle Entrate potesse riconoscere il bonus ai richiedenti.

Tuttavia, ai sensi dell’articolo 92 commi 2 e 3 del Dlgs 159/2011, si tratta di un riconoscimento sotto «condizione risolutiva». In pratica, qualora la Prefettura emanasse un provvedimento di diniego della certificazione antimafia, il credito d’imposta andrebbe interamente recuperato.

Diverso è, invece, il caso in cui l’interdittiva sia comunicata successivamente ad una precedente liberatoria a seguito della quale il Fisco aveva legittimamente autorizzato l’utilizzo del bonus. Sopravvenute circostanze che richiedessero l’interdittiva antimafia a carico del soggetto richiedente l’agevolazione non consentirebbero, in questo caso, all’amministrazione finanziaria il recupero dell’agevolazione.

Si tratta, come la stessa Confindustria ricordava, di un provvedimento nel segno della ragionevolezza e della semplificazione amministrativa che rimuove “potenzialmente” i danni derivanti dall’eccessivo ritardo burocratico propedeutico all’ottenimento della certificazione.

Non si può, comunque, non evidenziare che il provvedimento non cancella del tutto le insidie della procedura, quando questa dovesse manifestarsi con peculiarità contrarie ad ogni profilo di ragionevole durata.

Si ipotizzi il caso in cui le indagini ministeriali si protraessero per più mesi, addirittura per anni, e che a distanza di tali anni arrivasse un provvedimento di interdittiva. Stando a tale procedura, l’Agenzia emette un atto di recupero inteso a revocare il beneficio accordato sotto condizione risolutiva ex nunc, con un inspiegabile danno in capo all’impresa richiedente.

Infatti, in ipotesi di credito d’imposta «inesistente» (articolo 13, comma 5, del Dlgs 471/1997), il Fisco applicherà una sanzione dal cento al duecento per cento della misura del credito per la quale non potrà applicarsi la definizione agevolata di cui agli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del Dlgs 472/97. In questi casi, invero, la realizzazione dell’investimento non attrae la fattispecie nella più mite casistica del credito «non spettante»; l’Agenzia, infatti, ritiene che manchi il vero e proprio presupposto costitutivo del bonus.

Un provvedimento di interdittiva è certamente un atto grave ma, in ogni caso, non definitivo; l’azienda che ne è oggetto, infatti, potrà esperire tutte le impugnative del caso. Ciò nonostante un provvedimento di revoca con obbligo di restituire l’agevolazione e una sanzione fino al duecento per cento di quanto fruito rischia di compromettere, per importi consistenti, financo la continuità aziendale del richiedente.

Di qui la necessità che la giustizia tributaria – in fase di impugnativa dell’atto di recupero – valuti con attenzione la richiesta di sospensione dell’esecutività dell’atto, autorizzandola, nei casi più rilevanti, fino a quando la parallela impugnativa dell’interdittiva non abbia concluso tutti i suoi gradi di giudizio.

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