C’è «concorso» tra bancarotta e occultamento scritture contabili
Occultamento delle scritture contabili e bancarotta fraudolenta documentale possono concorrere non comportando la violazione del ne bis in idem in quanto i fatti illeciti rilevanti non coincidono. Così la Corte di cassazione, sezione V penale, con la sentenza n. 32367 depositata ieri.
Un socio accomandatario era condannato per bancarotta fraudolenta documentale per aver omesso di consegnare al curatore tutta la documentazione della società. Nel ricorso per Cassazione rilevava che in un altro e differente procedimento era già stato condannato per il reato di occultamento di scritture contabili (articolo 10 Dlgs 74/2000), perché al fine di evadere le imposte sui redditi e l’Iva, ometteva l’esibizione dei documenti e dei registri. Secondo il ricorrente, pertanto, la pena per il reato di bancarotta fraudolenta documentale doveva considerare anche quella già inflitta per il reato fiscale, così evitando una doppia condanna per la medesima fattispecie delittuosa.
I giudici di legittimità, richiamando i principi Cedu e della Consulta (sentenza 200/2016), hanno rilevato che nel reato tributario la condotta è finalizzata a impedire la ricostruzione dell’ammontare dei redditi o del volume di affari e quindi del risultato economico, mentre l’azione fraudolenta per la bancarotta documentale si concretizza nella volontà di ledere gli interessi creditori, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto, “requisiti” non presenti nella fattispecie fiscale.
La Consulta e le pronunce Cedu intendono garantire che la persona già giudicata in via definitiva in un processo penale non possa trovarsi imputata per il medesimo fatto storico.
L’identità del fatto sussiste solo quando c’è corrispondenza «storico-naturalistica» nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, luogo e persona. A tal fine, il giudice deve valutare la coincidenza di tutti questi elementi tra il fatto già oggetto di giudizio definitivo e il nuovo.
Nella specie, la Cassazione ha escluso l’«identità del fatto» atteso che il delitto tributario punisce occultamento o distruzione finalizzati a evadere le imposte, mentre il reato fallimentare è articolato in più illeciti riconducibili non solo alla sottrazione, ma anche alla falsificazione dei libri e delle altre scritture, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. Da qui l’esclusione di possibili violazioni del ne bis in idem, con la conseguenza che i due reati possono concorrere.
Ancorché la Suprema Corte si fosse già espressa in favore del concorso tra le due fattispecie, la decisione appare singolare perché proprio per evitare tale concorso, il Dlgs 74/2000, per l’occultamento o la distruzione aveva espressamente introdotto la locuzione «salvo il fatto non costituisce più grave reato» come confermato anche dalla relazione. Resta da comprendere, a questo punto, il senso di tale frase.
Cassazione, V sezione penale, sentenza 32367 del 5 luglio 2017