Controlli e liti

Censurabile la cartella esattoriale che non motiva in modo chiaro gli interessi applicati

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di Roberto Bianchi

La cartella di pagamento non preannunciata da un avviso di accertamento deve includere una confacente spiegazione in merito agli interessi applicati, evidenziando il tasso di interesse adottato e la metodologia di computo utilizzata.

In tale circostanza non è possibile reputare sufficiente la rappresentazione dell’annualità di imposta alla quale la richiesta si riferisce o delle disposizioni in forza delle quali i medesimi interessi sono stati determinati, non competendo al soggetto passivo il gravame di dover compiere le relative rideterminazioni e di dover ricorrere a specifiche competenze giuridiche al fine di poter comprendere le argomentazioni sulle quali la richiesta si fonda.

Qualora la motivazione in merito agli interessi passivi vantati risulti non congrua e inadeguata, la cartella di pagamento, per la porzione afferente agli stessi interessi, rivela la sua nullità. Ciò è quanto emerge dalla sentenza della Cassazione civile, sezione V del 6 dicembre 2016, n. 24933, la quale si è espressa a fronte del ricorso depositato dall’amministrazione finanziaria contro la sentenza 113/2010 emessa dalla Ctr meneghina, che aveva suffragato l’annullamento di una cartella di pagamento portante l’iscrizione a ruolo di interessi.

La pronuncia dei giudici lombardi era suffragata dalla omessa spiegazione dell’atto esattivo relativamente agli interessi medesimi. Di contro il ricorrente ufficio, considerato che la cartella risultava emessa in conformità ai modelli ministeriali (contenendo il periodo d’imposta e i riferimenti per ricostruirne le modalità di calcolo), sosteneva che l’atto esattivo dovesse essere ritenuto legittimo e adeguatamente motivato.
La Suprema Corte ha cassato il ricorso e ha condannando l’agenzia delle Entrate a rifondere le spese processuali. La cartella di pagamento non anticipata da un atto di accertamento, a parere degli ermellini, deve essere motivata in modo congruo, sufficiente e intellegibile, nel pieno rispetto dei principi di carattere generale indicati, per ogni provvedimento amministrativo, dall’articolo 3 della legge 241/1990, e recepiti, in ambito tributario, dall’articolo 7 della legge 212/2000 (Cassazione 26330 del 16 dicembre 2009).

Nel dettaglio, per ciò che concerne gli interessi, la cartella di pagamento deve riprodurre «l’indicazione del tasso e del metodo di calcolo», per porre il contribuente nella condizione di verificare la correttezza del conteggio degli interessi operato dall’ufficio sulla base della somma dovuta a titolo di imposta. Pertanto la Corte di Cassazione ha confermato che non rappresenta un onere del contribuente ricostruire le giustificazioni dell’atto esattivo e, di conseguenza, le modalità di determinazione degli interessi, costringendo il soggetto passivo ad attingere a nozioni giuridiche che esulano dalla sua sfera di competenza e di pertinenza per ricostruire il metodo utilizzato dall’Agenzia delle Entrate. Di conseguenza l’evidenza dell’anno d’imposta, del provvedimento da cui scaturiscono gli interessi e/o la menzione alla disciplina in forza della quale gli stessi sono stati determinati non è bastante a soddisfare il dovere di motivazione disciplinato dall’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente.


La motivazione opera a livello di procedimento e la medesima Suprema Corte ha accreditato, negli anni, l’indole sostanziale e, di conseguenza, provvedimentale dell’atto esattivo non preceduto da un atto di accertamento e, di conseguenza, il difetto di motivazione è stato ritenuto un vizio sostanziale della cartella di pagamento, dal quale scaturiscono le conseguenze preclusive alla loro valutazione nel merito.
Nel dettaglio, la motivazione del documento esattivo non preceduto da atto di accertamento non manifesta la propria utilità esclusivamente ai fini processuali che si rivelano, in ogni caso, potenziali e differiti, ma riveste un ruolo nodale nel procedimento e tale funzione viene comprovata e conservata esclusivamente qualora l’amministrazione finanziaria equipaggi la cartella di pagamento, dalla sua origine, con una motivazione appropriata fornendo, solo in questa circostanza, la garanzia richiesta dalla norma a favore del contribuente.
La motivazione, disciplinata dall’articolo 7 dello statuto dei diritti del contribuente (che rappresenta la riproduzione, nell’ambito di uno speciale procedimento amministrativo, di una delle fondamentali regole dettate dall’articolo 3 della legge 241/1990 sul procedimento in generale), ha la finalità di circoscrivere il perimetro delle confutazioni sollevabili dall’amministrazione finanziaria nel susseguente giudizio di primo grado e di consentire al contribuente di comprendere l’an debeatur e il quantum debeatur della richiesta dell’agenzia delle entrate, per consentirgli di apprestare una adeguata difesa. Di conseguenza, il menzionato onere deve considerarsi ottemperato attraverso l’enunciazione dei presupposti adottati e delle relative risultanze; la dimostrazione concerne il differente livello del postulato fondamentale della richiesta fiscale e la sua ricognizione nel processo tributario al cospetto di specifiche confutazioni dello stesso. Si può pertanto giungere ad affermare che, tra presupposti e risultanze, si frappone la medesima difformità teorica riscontrabile tra l’allegazione di un fatto posto a fondamento della propria pretesa reclamata in giudizio e prova del fatto stesso (Cassazione civile, sezione V, sentenza 7 maggio 2014, n. 9810).

Cassazione civile, sezione V del 6 dicembre 2016, sentenza 24933

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