Censure su costi indeducibili e non inerenti
Cgt di Reggio Emilia: non dimostrate le ragioni oggettive della pretesa
Nella sentenza 293/2022, la Cgt di primo grado di Reggio Emilia era stata chiamata a pronunciarsi in merito alla fondatezza, tra l’altro, di una rettifica di costi indeducibili nei confronti di una società che avrebbe utilizzato fatture per operazioni inesistenti.
La rettifica, da quanto sembra emergere dalla lettura della sentenza, era basata su alcune differenze e incongruenze emerse dall’esame della posizione dell’impresa emittente le fatture e dei suoi fornitori. Tali differenze erano ritenute dall’ufficio operazioni inesistenti.
La Cgt di Reggio Emilia, riferendosi espressamente alla nuova norma introdotta dal comma 5-bis dell’articolo 7 del Dlgs 546/1992, ritenuta applicabile anche ai procedimenti in corso, ha rilevato che l’agenzia delle Entrate non avesse dedotto elementi idonei a dimostrare in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive su cui si fondono la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni. Da qui, sempre in applicazione del ripetuto comma 5-bis il conseguente annullamento dell’atto impositivo.
La vicenda, invece, esaminata dalla Cgt di secondo grado dell’Emilia Romagna nella sentenza 90/2023, riguardava, tra l’altro, una contestazione di costi ritenuti non inerenti verosimilmente (per quanto desumibile dalla lettura della pronuncia) perché documentati da fatture aventi un contenuto generico.
I giudici di primo grado confermavano la contestazione rilevando, in buona sostanza, che si era in presenza di fattura generica, che si si limitava a richiamare una proposta di consulenza di cui si ignorava oggetto e consistenza. A fronte di ciò il contribuente non aveva prodotto alcun elemento anche presuntivo sulla natura, esistenza e utilità di tale attività collaborativa.
Di conseguenza il costo non era stato documentato nella sostanza e quindi doveva, correttamente, ritenersi indeducibile.
La Cgt Emilia Romagna ha rilevato innanzitutto l’applicazione della nuova norma ai procedimenti in corso. Richiamandone poi espressamente parte del contenuto («L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato») ha evidenziato che la sentenza di primo grado avesse ingiustamente sollevato l’Ufficio dall’onere della prova in merito all’asserito difetto di inerenza, in violazione al nuovo precetto normativo.
Peraltro, la prova della fondatezza dell’atto impositivo, addotta dall’Ufficio, sempre in violazione della nuova disposizione era «insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni».