Centri di accoglienza, gestione esente Iva
Esenzione Iva per la gestione dei centri di accoglienza migranti, con regole speciali per coop sociali e organizzazioni di volontariato. È quanto emerge dalla risoluzione 74/E/2018 emanata ieri dalle Entrate, in risposta a un interpello ministeriale sul corretto trattamento Iva delle prestazioni rese a migranti e richiedenti asilo. In particolare, la gestione di questi centri attivati dagli organi periferici del ministero viene affidata con apposite gare di appalto a uno o più soggetti (società commerciali, associazioni temporanee di imprese, Onlus, organizzazioni di volontariato, cooperative sociali, enti pubblici), prevedendo a seconda dei casi un corrispettivo unitario o diversificato per tipologia di prestazione. Si tratta di servizi eterogenei, che vanno dalla prima accoglienza del migrante, alla somministrazione di pasti, all’assistenza psicologica, alla pulizia, eccetera. Per questo tipo di prestazioni la risoluzione chiarisce che il criterio generale è quello di esenzione. La gestione di detti centri rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 10, n. 21, del Dpr 633/1972, relativo alle prestazioni proprie dei brefotrofi, orfanotrofi, case di riposo per anziani e simili.
L’esenzione si applica indipendentemente dalle modalità con cui sono effettuate le prestazioni (direttamente o tramite terzi affidatari come nel caso oggetto di interpello). Tuttavia, i beneficiari devono essere soggetti disagiati degni di protezione sociale (quali appunto i migranti). Il trattamento Iva dipende però da tipologia e numero dei soggetti che svolgono il servizio. La prestazione è sempre esente in caso di gestore unico, a prescindere dalla natura giuridica del prestatore (in base al numero 21 dell’articolo 10). Fanno eccezione le coop sociali (e loro consorzi) e le organizzazioni di volontariato. Le prime sono state escluse dal regime di esenzione con la legge di Stabilità 2016, per cui in relazione a questi servizi scontano l’Iva, seppure con aliquota agevolata al 5% (articolo 1, tabella A, parte II-bis allegata al Dpr 633/1972). Le seconde, invece, non applicano l’Iva se le prestazioni rientrano tra le finalità istituzionali (articolo 3 della legge 266/1991).
Discorso diverso quando l’appalto è affidato a più soggetti, ciascuno chiamato a svolgere una specifica prestazione (nel caso oggetto di interpello per i centri con più di 300 posti). In tal caso, si legge nella risoluzione, ciascuna tipologia di servizio sarà soggetta a Iva con modalità diverse a seconda della natura del soggetto che presta il servizio e del tipo di prestazione. Quest’ultimo aspetto diventa determinante e può comportare alternativamente l’applicazione dell’esenzione, dell’aliquota ridotta (5%) o di quella ordinaria (22%) a seconda del caso concreto. Così ad esempio, saranno esenti le prestazioni di diagnosi e cura rese nell’esercizio delle professioni sanitarie (articolo 10, n. 18), mentre sconterà il 22% la somministrazione di pasti o il servizio di pulizie.
Nessuna valutazione sul tipo di servizio per le associazioni di volontariato. Se le prestazioni rientrano nell’attività istituzionale sarà sempre esclusa l’applicazione dell’Iva.
Nei casi in cui è prevista l’applicazione dell’Iva, bisognerà fare attenzione alle modalità di liquidazione dell’imposta. Infatti, quando il committente è un’amministrazione dello Stato (come, nel caso di specie, gli organi periferici del ministero), scatta lo split payment (articolo 17-ter Dpr 633/1972). Sarà dunque la Pa a versare l’Iva dovuta per le prestazioni, pagando il corrispettivo al fornitore al netto dell’imposta.
Agenzia delle Entrate, risoluzione 74/E/2018