Cessione dell’immobile: doppia condizione per la rettifica del corrispettivo
A seguito dell’introduzione della legge comunitaria n. 88 del 7 luglio 2009 l’amministrazione non può semplicemente invocare la sola divergenza tra valore dichiarato e valore normale per rettificare il corrispettivo di cessione di un immobile ai fini Iva ed Ires. Intanto la norma comunitaria ha abrogato retroattivamente il previgente Dl 223/2006, che consentiva tale facoltà. Poi, se pure l’amministrazione intendesse utilizzare il solo scostamento tra valore dichiarato e valore normale, deve comunque provare l’intento elusivo. Così la Cassazione n. 7024/2018 depositata ieri.
La società A, immobiliare in liquidazione, vende nel 2004 alla società B un immobile ad un corrispettivo di 1,450 milioni di euro, ma il 6 dicembre 2005 A lo riacquista da B per 1,5 milioni ed in pari data lo rivende ad una banca per 2,240 milioni.
L’amministrazione accerta la società B ai fini Iva ed Ires, perché non è sufficiente considerare la plusvalenza di 50mila euro (differenza fra il prezzo di vendita di 1 milione e 500mila euro ricavato nel 2005 ed il prezzo di acquisto di 1,450 milioni di euro del 2004) perché il corrispettivo della compravendita poi effettuata dalla società A alla banca nello stesso giorno fa presumere un “valore normale” della vendita di retrocessione ad A per 740mila euro in più (differenza tra il prezzo di vendita di 2,240 milioni da A alla banca e 1,5 milioni prezzo di vendita da B ad A).
La società B ricorre. La rettifica ai fini Iva ed Ires del valore indicato nell’atto di compravendita in base al “valore normale” è illegittima: a) A ha pagato nel 2005 un prezzo maggiore rispetto a quello previsto dalle tariffe catastali rivalutate; b) Non è stato posto in essere alcun artificio per eludere l’imposta in quanto, nonostante il valore dichiarato di 1 milione e 500mila euro, il corrispettivo doveva ancora in parte essere pagato e la vendita di retrocessione è avvenuta per evitare una causa civile dall’immobiliare. L’amministrazione resiste: a) Il “valore normale” della seconda vendita non può che essere quello della terza vendita in quanto notevolmente superiore; b) L’operazione posta in essere presenta profili di elusività poiché manifestamente antieconomica.
Il giudizio di fronte al giudice di merito è altalenante. A favore della contribuente in primo grado e dell’amministrazione in secondo grado. Da qui il ricorso di legittimità e qui la Corte cassa con rinvio la sentenza della Ctr per i seguenti motivi:
•a seguito dell’approvazione della legge comunitaria n. 88 del 7 luglio 2009 l’amministrazione non può più rettificare il valore delle compravendite immobiliari in base al “valore normale”, perché tale legge ha abrogato retroattivamente la norma previgente, il Dl 223/2006, che consentiva all’Amministrazione la rettifica ai fini Iva della base imponibile della cessione di fabbricati nel caso in cui risultasse inferiore al “valore normale” presunto;
•non può essere mai considerato quale “valore normale” dell’immobile quello registrato attraverso vendite successive alla prima in assenza di prova di elusività dell’operazione, perché, se il prezzo della prima vendita non viene in parte pagato dall’acquirente, la vendita di retrocessione all’originaria venditrice potrebbe anche essere dovuto alla volontà comune di evitare una causa civile e di procedere celermente all’individuazione di un nuovo acquirente.
Cassazione, sentenza 7024/2018