Contabilità

Cessione di partecipazioni, c’è abuso solo se circolari

di Riccardo Michelutti e Luca Rossi

L’agenzia delle Entrate, con la risposta 341 dello scorso 23 agosto , torna a far riflettere sui confini dell’abuso del diritto, con specifico riguardo alle operazioni di leveraged cash out. Il quesito riguarda un’operazione finalizzata a realizzare il passaggio generazionale dai soci fondatori ai figli che già partecipavano alla società in posizione di minoranza. Poiché i soci di seconda generazione non disponevano della liquidità necessaria per procedere all’acquisto, l’operazione veniva strutturata mediante la cessione, previa rivalutazione, delle partecipazioni detenute dai soci di prima generazione a una newco costituita dai soci di seconda generazione, la quale finanziava l’acquisto a debito e poi si fondeva con la target.

Per scelta del legislatore la norma in tema di rideterminazione del valore delle partecipazioni prevede la rilevanza dell’affrancamento solo ai fini dei redditi diversi e non anche per i redditi di capitale realizzati in sede di recesso laddove le somme percepite eccedano il costo fiscale della partecipazione (circolari 12/E/2002 e 16/E/2005).

Partendo dal presupposto che la scelta normativa fosse motivata dalla volontà di favorire solo le operazioni di vendita finalizzate alla reale circolazione delle partecipazioni, generalmente si consideravano abusive, in quanto in contrasto con la ratio della norma agevolativa, le operazioni «circolari» in cui i soci vendevano a se stessi, senza che ci fosse una reale modifica della compagine sociale. Tale ricostruzione è stata da ultimo confermata dal principio di diritto 20/2019, che ha considerato indebito il vantaggio fiscale ottenuto limitatamente a uno dei soggetti cedenti che manteneva una partecipazione nella target dotata di particolari poteri di governance che gli consentivano finanche, in determinate circostanze, di riacquistare il controllo della target.

Viceversa, dovrebbe ritenersi lecito, in quanto coerente con la finalità della norma, il risparmio conseguito in quelle fattispecie non meramente circolari che comportano un disinvestimento a titolo definitivo della partecipazione. È questo il caso laddove l’acquisizione venga perfezionata da una società preesistente la cui compagine sociale non sia riconducibile agli stessi soci cedenti e non già da un veicolo costituito ad hoc per l’operazione. In questa ipotesi, infatti, non si può parlare di un reinvestimento da parte dei soci uscenti giacché gli stessi, anche ove assumano una interessenza nella società acquirente, partecipano a un soggetto tutt’affatto diverso dalla target.

Allo stesso modo, la vendita a favore di una newco costituita dai soci residui della target, posta in essere in luogo del recesso tipico, pur in presenza di riserve disponibili della target non dovrebbe essere censurabile di per sé sotto il profilo dell’abuso del diritto, rientrando tra le opzioni aventi pari dignità poste a disposizione del contribuente, come previsto dal comma 4 dell’articolo 10-bis.

Peraltro, nel caso della risposta 341, lo stesso contribuente nell’istanza di interpello ha messo in evidenza che la vendita a favore della newco rappresentava l’alternativa più fisiologica per consentire l’uscita dei vecchi soci, in assenza dei presupposti normativi e statutari previsti dall’articolo 2473 del Codice civile per il recesso.

La censura abusiva risulta criticabile anche sotto un altro profilo, in quanto fa dipendere il trattamento fiscale del socio cedente da un comportamento ascrivibile a un soggetto terzo, attinente alle modalità adottate per il finanziamento dell’acquisizione. E infatti, se il socio uscente avesse venduto la propria partecipazione ai restanti soci – anche se appartenenti allo stesso nucleo familiare – nessuno dubita della possibilità di sfruttare gli effetti della rivalutazione. Ora, la scelta di costituire un veicolo indebitato al fine di procedere all’acquisizione nonché quella di procedere alla successiva fusione con la target è evidentemente operata dagli acquirenti, che in questo modo fanno fronte alla propria carenza di liquidità. Occorre quindi chiedersi se sia ragionevole far dipendere il trattamento ai fini delle imposte reddituali del socio cedente da una scelta operata da un altro soggetto, in assenza di un vincolo di solidarietà tributaria (come accade invece nell’imposta di registro, su cui vedi le criticabili risposte 13, 53 e 138 del 2019).

Né vale infine obiettare che nel caso di specie non sussisteva una reale terzietà, in quanto si trattava di una vendita tra soci appartenenti agli stessi nuclei familiari, posto che la valutazione della circolarità dell’operazione deve necessariamente riguardare il singolo soggetto cedente, salvo l’onere di individuare fenomeni di interposizione nel possesso partecipativo che ricade sull’amministrazione finanziaria.

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