Classificazione in bilancio e inerenza per capire se il derivato è di copertura
Secondo alcuni giudici di legittimità non sono ammessi in deduzione, in quanto non inerenti all’attività di impresa, gli oneri maturati su strumenti finanziari derivati stipulati da imprese industriali che adottano i principi contabili Oic, e per i quali non siano state dimostrate le caratteristiche degli strumenti derivati di copertura.
Fino al 2015 per le imprese diverse dagli enti creditizi e finanziari i principi contabili non prevedevano una disciplina per la rilevazione e valutazione degli strumenti finanziari derivati. Soltanto il principio di prudenza imponeva l’obbligo di contabilizzare le perdite in corso di formazione. Tuttavia, non poche imprese industriali identificavano gli strumenti derivati copertura adottando i principi forniti da Banca d’Italia per la predisposizione dei bilanci delle banche (circolare n. 166 del 30 luglio 1992, par. 5.9: «intenzione di porre in essere la copertura, elevata correlazione tra le caratteristiche tecniche-finanziarie dell’elemento coperto e di quello di copertura, documentazione di tali due aspetti).
Inoltre, per tali imprese non era ancora operante il riconoscimento fiscale dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione (cosiddetto “Qu.I.C.”) previsti da corretti principi contabili; pertanto, uno strumento derivato poteva rappresentare ai fini delle imposte sui redditi un derivato di copertura (articolo 112, Tuir allora vigente) soltanto in presenza del fine (documentabile) di proteggere il valore di attività o passività dal rischio di avverse variazioni di determinati indici (ad esempio, tassi di interesse, tassi di cambio o dei prezzi di mercato). In altre parole, la qualificazione (di copertura o meno) del derivato ai fini delle imposte sui redditi non “dipendeva” dalla relativa qualificazione di bilancio.
All’interno di tale contesto contabile e fiscale, si registrano alcune pronunce dei giudici di legittimità (Cassazione, ordinanze n. 5160/2017, n. 12738/2018) che hanno negato il riconoscimento fiscale di oneri, maturati su strumenti finanziari derivati ritenuti qualitativamente non di copertura, in quanto non inerenti al reddito di impresa. Dello stesso tenore sono le pronunce di alcuni giudici di merito (sentenza Ctp Rimini n. 185/1/2013, confermata dalla sentenza n. 367/01/2018 della Ctr Emilia Romagna) che hanno ritenuto deducibili, in quanto inerenti, gli oneri maturati su derivati qualitativamente di copertura (del rischio cambio relativo all’acquisizione di materie prime su mercati internazionali). Pertanto, gli strumenti derivati stipulati dalle imprese industriali privi dei requisiti richiesti per poter essere qualificati di copertura potrebbero essere ritenuti non inerenti all’attività di impresa, e, per l’effetto, produttivi di oneri irrilevanti ai fini delle imposte sui redditi.
Dal 2016 il contesto è radicalmente cambiato. La riforma contabile varata con il Dlgs 139 del 2015, infatti, ha introdotto per i soggetti Oic-adopter (diversi dalle cosiddette “micro-imprese”) l’obbligo di rilevazione e valutazione degli strumenti finanziari derivati (articolo 2426, comma 1, n. 11-bis e principio Oic 32); inoltre, con l’articolo 13-bis del Dl 30 dicembre 2016, n. 244 (il cosiddetto “milleproroghe”), convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, è stata estesa a tali soggetti il riconoscimento fiscale dei criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti da corretti principi contabili. Ne consegue che, ai fini delle imposte sui redditi, si è in presenza di un derivato di copertura o meno in funzione della relativa qualificazione di bilancio.
La contabilizzazione delle operazioni di copertura è consentita soltanto in presenza di determinati requisiti di forma e sostanza (“hedge accounting”, Oic 32, paragrafi 51-118); inoltre, pur in presenza di tali requisiti le imprese non sono obbligate ad applicarla, potendo scegliere di rilevare in bilancio come strumento derivato non di copertura un derivato effettivamente stipulato con tali finalità. Tale ultima circostanza potrebbe, apparentemente, esporre le imprese diverse dagli intermediari finanziari al richiamato filone giurisprudenziale secondo cui gli oneri che promanano dai derivati non di copertura non assumono rilievo nell’ambito delle imposte sui redditi a causa della non inerenza all’attività di un’impresa industriale della stipula dei suddetti strumenti.
In realtà, non sarà la qualificazione di bilancio a rendere inerente un onere. Come recentemente affermato dai giudici di legittimità (ordinanze n. 3170 e n. 450 del 2018), discostandosi dall’orientamento consolidato che collocava la disciplina dell’inerenza all’interno dell’articolo 109, comma 5, del Tuir, l’inerenza scaturisce da un giudizio qualitativo, che mira soltanto a verificare se l’onere è riferibile all’attività di impresa. Proprio su tale affermazione si è formata la citata giurisprudenza sulla (mancata) inerenza dei derivati non di copertura, dichiarando che, senza i requisiti (sostanziali) di un’operazione di copertura, il derivato darebbe luogo a oneri non deducibili. Il giudizio sull’inerenza degli oneri maturati su strumenti finanziari derivati (e, più in generale, di quelli derivanti da qualsiasi operazione), dunque, prescinde dalla qualificazione di bilancio, limitandosi a verificare la riferibilità degli stessi all’attività di impresa esercitata. Pertanto, anche nello scenario delineatosi dal 2016, per le suddette imprese Oic-adopter non dovrebbero porsi problemi di inerenza per gli oneri originati da strumenti finanziari derivati gestionalmente di copertura ma contabilizzati come speculativi.