Collegio sindacale, monitoraggio sull’assetto organizzativo «decisivo» per l’allerta
Tra i doveri che la legge pone a carico dei sindaci, quello riguardante la vigilanza sull’assetto organizzativo della società sembra destinato a un sempre crescente rilievo.
Il relativo obbligo è previsto in via generale da diverse disposizioni, a iniziare dagli articoli 2403 del codice civile e 149, comma 1, lettera c, Tuf, riguardanti rispettivamente società comuni e quotate in borsa. E la sua particolare rilevanza è stata di recente confermata dal «Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza», attuativo della riforma delle procedure concorsuali (legge delega 155 del 19 ottobre 2017). Una riforma che come noto ha perseguito, tra gli altri, lo scopo di una precoce rilevazione della crisi e di una tempestiva adozione delle misure idonee a superarla, a tal fine introducendo, assieme a numerose altre novità, procedure di allerta e di composizione assistita della crisi.
In quest’ambito, particolari aspettative sono state riposte proprio nel collegio sindacale, a carico del quale il nuovo codice – all’articolo 14 – ha previsto l’obbligo di verificare che l’organo amministrativo monitori costantemente l’adeguatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa, il suo equilibrio economico-finanziario e il prevedibile andamento della gestione, segnalando eventuali indizi della crisi allo stesso organo amministrativo nonché, in difetto di concrete iniziative da parte di quest’ultimo, all’organismo di composizione della crisi d’impresa. Confidando nella centralità di questa funzione di controllo e di segnalazione, la riforma ha altresì ampliato, per le società a responsabilità limitata, le ipotesi di obbligatoria nomina del collegio sindacale.
Al di là di queste recenti previsioni funzionali all’allerta, l’obbligo riguardante gli assetti organizzativi, come accennato, investe in generale il collegio sindacale, con responsabilità che la giurisprudenza sembra interpretare in modo non restrittivo (vedi, tra le altre, Cassazione 22.01.2018, n. 1529; Cassazione 28.08.2017, n. 20437; Cassazione 29.03.2016, 6037), senza osteggiare più di tanto la tendenza – rinvenibile soprattutto nell’ambito delle azioni risarcitorie da parte delle procedure – a ricondurre al paradigma della violazione dei doveri di vigilanza sull’assetto organizzativo le più svariate situazioni.
Una tendenza in effetti pericolosa in considerazione dell’innegabile genericità della formula «assetti organizzativi» (così ampia da poter interessare le aree più diverse dell’attività d’impresa: tecniche, produttive, informatiche, finanziaria, del personale, ecc.) e della potenziale ampiezza del controllo su questi assetti (in ipotesi estendibile al perseguimento degli obiettivi aziendali, in un’ottica anche preventiva e non di sola verifica ex post delle attività già poste in essere).
Alla luce della centralità e ampiezza di questo ruolo di controllo degli assetti organizzativi, per l’incarico di sindaco potrebbe allora immaginarsi indispensabile il possesso di una specifica cultura aziendalistica.
Senonché la disciplina è al riguardo fuorviante e, per favorire il coniugio delle diverse culture alla base di un efficiente esercizio della funzione sindacale, consente la nomina di soggetti in possesso di requisiti professionali denotanti competenze in materie «economiche» o anche (solo) «giuridiche» (articoli 2397 del codice civile e 148 Tuf, e relative disposizioni attuative).
Allo stesso tempo però, da un lato richiede ai sindaci di adempiere ai propri doveri con la professionalità richiesta «dalla natura dell’incarico», senza alcun riferimento alle eventuali loro «specifiche competenze» (articolo 2407 del Codice civile), cui invece, per quanto con implicazioni non ancora del tutto chiare, fa cenno l’articolo 2392 del codice civile riferendosi agli amministratori; dall’altro non lascia dubbi in merito al fatto che ciascun componente, salvo non si sia espressamente dissociato, risponda in via solidale dell’operato dell’organo collegiale. Ciò equivalendo a dire che per andare esente da responsabilità il sindaco deve disporre di personali competenze per motivare dissenso, che nel caso dell’adeguatezza organizzativa non potrebbero che discendere dalla già ricordata cultura aziendalistica; il cui possesso la disciplina tuttavia non richiede di documentare.
A essere messa alla prova diviene così la responsabilità dei singoli, visto che la giurisprudenza non esita, nelle sue decisioni, a imputare la mancata identificazione di eventuali carenze organizzative a tutti i componenti del collegio sindacale, senza dare rilievo, perlomeno nei rapporti esterni, all’eventuale mancanza di una specifica formazione.
Trasformando di fatto in una colpa la circostanza di aver accettato, a tutto beneficio del coniugio di competenze che la disciplina sembrerebbe voler quasi favorire, la messa a disposizione delle proprie settoriali conoscenze confidando, per quelle mancanti, nella professionalità degli altri componenti.
Per approfondire: La vigilanza dei sindaci sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, in Guida alla Contabilità e Bilancio, gennaio 2019