Colpa professionale per omessa impugnazione anche senza prova del danno
Colpa professionale sotto tiro. La Cassazione chiarisce, con la sentenza n. 25112 della Terza sezione civile, depositata ieri, che lo strumento della presunzione deve essere applicato a quei casi di responsabilità degli avvocati, ma anche dei commercialisti, per omessa impugnazione. Non solo per quanto riguarda le pronunce giudiziarie ma anche gli atti impositivi dei tributi. E il calcolo delle probabilità deve poter riguardare non solo l’accertamento del legame tra omissione e danno, ma anche quello tra il danno stesso e le conseguenze risarcibili.
La Corte si è trovata a dover affrontare il caso della mancata riassunzione del giudizio di rinvio, dopo giudizio favorevole da parte della Cassazione, in una vicenda di licenziamento individuale di cui veniva contestata la legittimità.
Per effetto della mancata riproposizione era poi scattata la prescrizione a danno del dipendente. Di qui l’avvio di una nuova causa per fare valere la responsabilità dei legali. E se il tribunale aveva sì accertato la colpa dei legali, ma negato il risarcimento, sulla base dell’assenza di prove del danno subito, la Corte d’appello invece dispose la liquidazione anche dei danni.
Ora la Cassazione, accoglie la lettura dei giudici di secondo grado, con una serie di precisazioni e un principio di diritto. Per la Corte d’appello, infatti, la concessione del risarcimento era conseguenza della valutazione, sulla base del criterio del “più probabile che non” , del tenore della sentenza di rinvio, nella quale, pur affidando ai giudici di merito il compito di riconsiderare la legittimità del risarcimento, tuttavia venivano posti alcuni paletti che rendevano del tutto improbabile la sconfitta del lavoratore.
Ora la Cassazione ricorda alcuni precedenti in materia di responsabilità civile, nel cui ambito deve essere applicata la regola della prevalenza del evidenza o, almeno, della maggiore probabilità, a differenza della responsabilità penale, per la quale il riferimento non può che essere alla prova “oltre ogni ragionevole dubbio”.
Un criterio che, per la sentenza depositata ieri, deve essere traslato anche nel campo della responsabilità professionale per una condotta omissiva: «Il giudice accertata l’omissione di un’attività invece dovuta in base alle regole della professione praticate , nonché l’esistenza di un danno che probabilmente ne è la conseguenza, può ritenere, in assenza di fattori alternativi, che tale omissione abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno».
Occorre però distinguere tra l’omissione di condotte che, se tenute, avrebbero permesso di evitare l’evento dannoso, dall’omissione di condotte che avrebbero prodotto un vantaggio. In entrambi i casi possono essere presenti gli estremi per il riconoscimento di responsabilità, ma nella prima ipotesi l’evento dannoso si è effettivamente verificato, mentre nell’altra il danno deve invece essere oggetto di un accertamento nel segno delle probabilità «dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato».
Ed è proprio la situazione che coinvolge avvocati e commercialisti per avere trascurato di impugnare quanto invece dovevano, quando potevano.
Cassazione, III sezione civile, sentenza 25112 del 24 ottobre 2017