Compensazione illecita dei debiti acquisiti in accollo
Commette il reato di indebita compensazione anche chi utilizza crediti inesistenti per pagare debiti tributari di terzi acquisiti mediante accollo. Così la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 55794 depositata ieri, sul caso di una consulente fiscale finita ai domiciliari. All’indagata era stato contestato, insieme ad altri, di aver ideato e commercializzato «modelli di evasione fiscale» con i quali venivano creati crediti inesistenti in capo alla consulente e/o in altre società dalla stessa amministrate, per compensare debiti tributari acquisiti da terzi tramite l’accollo.
In altre parole, alcuni contribuenti trasferivano mediante accollo alla consulente o a sue società, il proprio debito fiscale che veniva compensato con crediti inesistenti. Dopo la conferma del Riesame l’indagata ricorreva in Cassazione lamentando un’errata interpretazione della norma sulla compensazione sotto il profilo penale e tributario perché la consulente non rivestiva la qualifica di contribuente, atteso che i debiti di imposta erano di terzi e non propri. La Cassazione ha rilevato che l’articolo 10-quater del Dlgs 74/2000 disciplina un reato proprio prevedendo una pena per «chiunque» utilizzi in compensazione crediti inesistenti o non spettanti. Poi, secondo le regole della compensazione debito e credito di imposta devono essere in capo a un unico soggetto, non potendosi eseguire compensazioni tra debiti e crediti di soggetti differenti.
La consulente attraverso la simulazione degli accolli dei debiti tributari dei terzi, aveva assunto la qualifica di coobbligato/accollante. Tuttavia, l’attività truffaldina era finalizzata anche a ingannare il debitore originario, il quale inconsapevolmente trasferiva il proprio debito affinché venisse estinto. Ne è così conseguito che la condotta adottata per la creazione di crediti inesistenti e del loro utilizzo in compensazione ha cagionato il danno all’erario, divenendo così autore diretto del reato.
Secondo la Cassazione la condotta simulatoria non poteva essere ricondotta a operazioni elusive, senza conseguenze penali. Per giurisprudenza consolidata, infatti, la norma ha applicazione residuale rispetto alle disposizioni su comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, con la conseguenza che è irrilevante quando la contestazione integri una fattispecie penale ben individuata.
Cassazione, sentenza n. 55794/2017