Compensi ai soci, la strada delle prestazioni accessorie
Spesso il Fisco contesta l’antieconomicità delle cifre riconosciute. Più facile blindare la remunerazione delle attività inserite nello statuto
I rapporti tra soci e società vengono sempre più spesso messi sotto la lente d’ingrandimento da parte dell’agenzia delle Entrate. Non si contano infatti le rettifiche operate – soprattutto in punto di antieconomicità – nei casi in cui il socio effettui delle prestazioni nei confronti dell’ente collettivo: certamente il caso più frequente è quello dei compensi ritenuti abnormi corrisposti agli amministratori. Compensi che rappresentano la soluzione più “scolastica” di remunerazione dei soci, quando quest’ultimi svolgono delle attività a favore della società.
Per “blindare” maggiormente i rapporti tra società e soci, è opportuno indagare su un istituto che, perlomeno nell’ordinamento giuridico italiano, ha ricevuto scarsa applicazione nella pratica: si tratta dell’obbligo delle prestazioni accessorie da parte dei soci. L’articolo 2345 del Codice civile dispone che: «Oltre l’obbligo dei conferimenti, l’atto costitutivo può stabilire l’obbligo dei soci di eseguire prestazioni accessorie non consistenti in danaro, determinandone il contenuto, la durata, le modalità e il compenso, e stabilendo particolari sanzioni per il caso di inadempimento. Nella determinazione del compenso devono essere osservate le norme applicabili ai rapporti aventi per oggetto le stesse prestazioni. Le azioni alle quali è connesso l’obbligo delle prestazioni anzidette devono essere nominative e non sono trasferibili senza il consenso degli amministratori. Se non è diversamente disposto dall’atto costitutivo, gli obblighi previsti in questo articolo non possono essere modificati senza il consenso di tutti i soci».
La previsione è collocata nella disciplina delle società per azioni. Tuttavia, non vi è dubbio che trovi applicazione anche per Srl (così come la possibilità di prevedere quote con prestazioni accessorie si ritiene comunemente ricompresa, per le società di persone, nell’articolo 2253, comma 2, del Codice civile).
Il contenuto
Le ragioni della disposizione delle prestazioni accessorie – di cui si rinvengono le prime “tracce” in Germania nel 1912 – risulta quella di dotare le società di uno strumento idoneo al fine di assicurare l’acquisizione di beni o servizi utili al programma d’impresa, senza doverlo ricercare da “fonti esterne” sul mercato.
Sotto il profilo contenutistico, l’oggetto della prestazione è liberamente configurabile dalle parti, con la sola eccezione del divieto di erogazione di denaro. Le ragioni di tale divieto vanno ricercate nel fatto che «l’accessorietà» delle prestazioni va intesa come «aggiuntiva» o «ulteriore»: l’intenzione è quella di evitare un inutile doppione del conferimento, che usualmente avviene in denaro (non a caso l’articolo 2345 del Codice civile esordisce con «oltre l’obbligo dei conferimenti»).
Non sono da considerarsi in denaro le prestazioni di garanzia da parte dei soci in favore dei terzi creditori dell’ente associativo (le quali peraltro risultano espressamente disciplinate dalla normativa fiscale, si veda l’altro articolo in basso), che dunque ben possono rientrare tra le prestazioni accessorie. In via generale, si può affermare che rientra nella previsione di cui all’articolo 2345 del Codice qualsiasi tipologia di utilità, materiale o immateriale fruibile dalla società, comprese prestazioni del tutto occasionali, sempre con l’eccezione sopra ricordata delle dazioni dirette di denaro.
Le formalità da rispettare
La clausola relativa alle quote con prestazione accessoria deve essere contenuta nell’atto costitutivo. Tuttavia, può essere introdotta anche successivamente con una modifica statutaria, anche se in giurisprudenza vi è stata qualche pronuncia che ha ammesso che l’obbligo delle prestazioni accessorie possa essere inserito in un atto diverso dallo statuto o dall’atto costitutivo (Cassazione 3319/1978). Tale conclusione, tuttavia, non appare convincente. Infatti, come anche l’agenzia delle Entrate ha avuto modo di riconoscere (risoluzione 81/E/2002), l’obbligazione derivante dalle prestazioni accessorie ha natura propriamente sociale – con tutta le conseguenze tipicamente societarie – con la conclusione che si ritiene che il rapporto (tra società e socio) non possa essere istituito al di fuori dei documenti tipicamente regolatori della vita associativa. E proprio perché la natura delle prestazioni accessorie è da fare rientrare tra le obbligazioni sociali, tali prestazioni – se vengono rispettate tutte le “ritualità” – potranno essere difficilmente messe in discussione – se precisamente determinate – da parte dell’agenzia delle Entrate.