Imposte

Compensi a venditori deducibili quando l’esercizio è abituale

Possibile superare la prassi degli uffici legata alla soglia di 5mila euro

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di Davide Cagnoni e Angelo D'Ugo

L’imposta regionale continua a far discutere, anche nei suoi aspetti applicativi “tradizionali”. È di qualche giorno fa la notizia della sentenza 170 del 27 luglio 2021 della Ctp di Verona, che ha dato un nuovo stop alle pretese del Fisco in materia di deducibilità Irap dei compensi corrisposti ai venditori porta a porta. Il tema è molto sentito dagli operatori in quanto in alcuni casi gli uffici, basandosi sul contenuto dell’articolo 3, commi 3 e 4, della legge 173/2005, ritengono indeducibili ai fini Irap, in quanto corrisposti a lavoratori occasionali, i compensi pagati a venditori che percepiscono nel periodo d’imposta provvigioni inferiori a 6.410,26 euro (corrispondenti a un reddito pari a 5mila euro).
L’errore di fondo dell’Agenzia, come ribadito dalla Ctp di Verona, sta nell’attribuire rilevanza fiscale a una norma prettamente di carattere civilistico/laburistico utilizzata quale presunzione assoluta di occasionalità dell’attività condotta, qualora non sia superata la soglia numerica di reddito sopra citata.

La legge 173/05 concernente la «Disciplina della vendita diretta a domicilio e tutela del consumatore dalle forme di vendita piramidali», infatti, non solo non contiene alcun riferimento alla sua applicabilità ai fini fiscali, ma espressamente esclude persino di avere rilievo ai fini previdenziali. Essa può dunque assumere valenza meramente indiziaria per escludere, in via di fatto, che un’attività venga svolta con carattere di abitualità. Ne consegue che la corretta normativa fiscale di riferimento per stabilire l’eventuale indeducibilità ai fini Irap dei compensi citati, è rappresentata dall’articolo 11, comma 1, lettera b) del Dlgs 446/97 che prevede una specifica causa di indeducibilità dalla base imponibile Irap dei «compensi per attività commerciali e per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente, nonché i compensi attribuiti per obblighi di fare, non fare o permettere, di cui all’art. 67, c. 1, lett. i) e l), del Tuir».

L’interpretazione letterale della norma non lascia infatti spazi a interpretazioni differenti dalla volontà di rimettere la definizione dei criteri per individuare le attività “non abituali” al sistema delle imposte sui redditi. Del resto la stessa Agenzia (risoluzione 18/E/2006) ha chiarito che, sebbene nella disciplina contenuta nella legge 173/05 siano preponderanti i profili civilistici della materia trattata, l’articolo 3, comma 4, ha un rilievo fiscale limitato ai profili Iva, «in quanto il legislatore ha inteso introdurre, attraverso il riferimento ad una data soglia di reddito (5.000 euro), un criterio atto ad individuare in quale caso gli incaricati alle vendite dirette a domicilio possono considerarsi, ai fini fiscali, esercenti attività “occasionale” e, in quanto tali, non soggetti agli obblighi imposti in materia di Iva». Dello stesso parere è anche la Cassazione (sentenza 33949/2019), che ha escluso la rilevanza della legge 173/05 per gli altri tributi.

Al fine di individuare le modalità di svolgimento dell’attività, i giudici hanno quindi espresso la necessità di “svincolarsi” dalle regole dettate dalla legge 173/05 giungendo a riconoscere la natura “abituale” dell’attività esercitata «a prescindere dall'entità dei compensi percepiti» e, di conseguenza, dei redditi ritratti dal venditore. Anche nella successiva sentenza 7227/2021 la Suprema corte ha confermato che, una volta chiarito che il requisito dell’abitualità dev’essere accertato in punto di fatto, ben può la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a 5mila euro rilevare unicamente quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con carattere di abitualità fermo restando che l’abitualità dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero professionista.

Tenuto conto di quanto sopra, quindi, gli uffici, nella fase pre-contenziosa, e i giudici a contenzioso già avviato, non potrebbero astenersi dal tenere conto del concetto di abitualità così come previsto dalla normativa Irap. In particolare, il conseguimento di un reddito superiore o inferiore alla soglia di 5mila euro non potrà essere considerato sufficiente a qualificare come “abituale” o “occasionale” lo svolgimento dell’attività di un venditore porta a porta, ma si dovranno considerare le effettive modalità con le quali l’attività viene svolta e, quindi, verificare la sussistenza di un’attività esercitata in via continuativa e stabile nel tempo. In questo modo si eviterebbe l’insorgere di un inutile contenzioso in tutte le ipotesi in cui gli incaricati alle vendite possano dimostrare di aver esercitato la propria attività in modo continuativo, professionale e, quindi, abituale.

VENDITE PORTA A PORTA ABITUALI E OCCASIONALI
1. Le norme di legge
Legge 173/2005
Secondo l'articolo 3, comma 3, l'attività è di carattere occasionale sino al conseguimento di un reddito annuo fino a5.000 euro.
Legge 446/1997
Secondo l'articolo 11, comma 1, lettera b), numero 2, sono indeducibili le attività commerciali/di lavoro autonomo definite “non abituali” sulla base delle regole individuate dal TUIR (articolo 67, comma 1, lettere i) e l)
2. La prassi delle Entrate
L'articolo 3, comma 4, ha rilievo fiscale limitato ai profili Iva (risoluzione 18/E/2006)
3. La giurisprudenza
In assenza di una norma che indichi come determinare il reddito prodotto dai venditori risulta inconferente riferirsi a una disposizione di natura prettamente laburistica coniata nell’ambito della normativa 173/2005 (Ctp Verona, 170/2021)

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