Con liti pendenti meglio chiedere il rinvio dell’udienza
In caso di contenzioso pendente, potrebbe essere opportuno chiedere il rinvio dell’udienza di discussione, al fine di valutare l’opportunità di avvalersi della definizione agevolata. La disciplina della rottamazione consente infatti di includere le partite in contenzioso, a condizione che si rinunci alla prosecuzione del giudizio.
Le disposizioni di riferimento tuttavia non contengono alcuna clausola per i procedimenti in corso che quindi, di regola, seguono il loro iter. Proprio per questa ragione, se già nei primi mesi dell’anno sono state fissate le udienze di trattazione, i difensori dei contribuenti dovrebbero considerare l’ipotesi di presentare una istanza di differimento delle stesse. Tanto più che i dubbi sulle regole della definizione agevolata in ipotesi di litispendenza sono molteplici.
Il primo riguarda l’individuazione del momento a partire dal quale l’impegno a rinunciare ai giudizi in corso, contenuto nel modello di istanza di sanatoria, diventa irrevocabile. Si ritiene che ciò non possa in alcun modo ricollegarsi alla data di presentazione della domanda, se non altro perché a tale data il debitore non conosce con esattezza il costo della rottamazione. Si è infatti in una fase del tutto preliminare alla quale seguirà la ricezione della comunicazione formale di Equitalia, con cui si avrà contezza sia dell’avvenuto accoglimento della domanda che del costo della rottamazione. A ben vedere, sembra corretto ritenere che il momento decisivo sia rappresentato dall’avvenuto perfezionamento della sanatoria, che si realizza con l’integrale e puntuale pagamento delle somme dovute. Se infatti la definizione non va a buon fine, non pare né corretto né equilibrato sostenere che si perdono non solo gli abbattimenti di legge ma anche il diritto all’azione giudiziaria. Sul punto, occorrerà comunque attendere chiarimenti ufficiali.
Ugualmente dubbia è la determinazione del quantum da versare allorquando l’importo affidato non rappresenti la totalità in contestazione. Si pensi all’impugnazione di un avviso di accertamento, con sentenza di Ctp negativa per il contribuente. In tale eventualità, è dovuto un ammontare pari a due terzi dell’accertato. Non è chiaro se, in ipotesi di definizione di detta frazione, la lite prosegua per la differenza oppure se si debba rinunciare all’intero giudizio. In quest’ultima eventualità, la porzione non definita dovrebbe essere pagata per intero, incrementando sensibilmente il costo della sanatoria.
Si discute inoltre delle modalità processuali con cui ottenere l’estinzione della controversia. Sul punto appare più giusto sostenere che si debba richiedere la cessazione della materia del contendere, piuttosto che la rinuncia del contribuente al ricorso o all’appello. Solo così, peraltro, si determina ope legis la compensazione delle spese. Se dunque la previsione legislativa relativa all’impegno a rinunciare al giudizio va intesa in senso atecnico, dovrebbe essere altrettanto corretto rilevare che lo stesso non abbia un destinatario preciso ma sia da assumersi in senso oggettivo. In altri termini, la rinuncia riguarda la materia oggetto della definizione, a prescindere dal soggetto chiamato in causa. Si faccia il caso dell’impugnazione del ruolo proposta contro le Entrate e non contro Equitalia. L’impegno alla rinuncia si intenderà conseguentemente rivolto alle prime e non alla seconda.