Condannato l’imprenditore che omette Iva e contributi per pagare gli stipendi
È colpevole del reato di
L’amministratore di una società veniva condannato alla pena di 12 mesi di reclusione per aver omesso di versare l’Iva e le ritenute risultanti dalle certificazioni. La decisione del Tribunale veniva confermata anche in appello. Erano state così disattese le difese dell’imputato secondo le quali lo stato di crisi della società aveva comportato gli omessi versamenti.
L’Amministratore proponeva ricorso in Cassazione lamentando, in estrema sintesi, un vizio di motivazione per un’errata valutazione delle difficoltà finanziarie della società, che risultavano provate in atti.
I giudici di legittimità, confermando la decisione, hanno ricordato che secondo il consolidato orientamento, per dimostrare l’assoluta impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre la prova della “non addebitabilità” all’imputato della crisi economica dell’impresa. Deve così emergere l’impossibilità di fronteggiare l’assenza di liquidità con altri metodi.
A tal fine, è necessaria la dimostrazione che l’imprenditore non potesse operare diversamente e non potesse porre alcun rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà, per evitare l’omesso pagamento dei tributi.
Nella specie, la crisi economico-finanziaria che aveva colpito la società non era improvvisa né imprevedibile, poiché sin dai periodi di imposta precedenti, l’attività era stata caratterizzata da un andamento negativo costante. Il fatturato si era progressivamente ridotto e l’amministratore non aveva adottato alcun comportamento per migliorare tali condizioni.
La Suprema Corte ha poi rilevato che la sua colpevolezza era dimostrata anche dalla tesi difensiva stessa: durante il momento di crisi, l’imprenditore aveva comunque provveduto al pagamento dei dipendenti, giustificando tale decisione, con la necessità di mantenere in vita l’attività di impresa.
La Cassazione ha ritenuto pertanto che l’imputato avesse consapevolmente scelto la destinazione delle risorse finanziarie, privilegiando terzi all’erario, senza perseguire alcuna altra via per ripartire in modo omogeneo ed equilibrato le somme disponibili. Da qui il rigetto del ricorso.
Cassazione, III sezione penale, sentenza 29544 del 14 giugno 2017