Conferimento di quote in realizzo controllato, critica la definizione di holding
Secondo l’Agenzia non si devono considerare i valori di bilancio, ma occorre fare riferimento ai valori correnti delle partecipazioni e del patrimonio complessivo della società
In base all’articolo 177, comma 2-bis, per i conferimenti di partecipazioni detenute in società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni, «le percentuali di cui alla lettera a) del precedente periodo [20% dei diritti o 25% di partecipazione al capitale superiore al 25%, ridotte al 2% e al 5% per società quotate] si riferiscono a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un’impresa commerciale, secondo la definizione di cui all’articolo 55 e si determinano, relativamente al conferente, tenendo conto della eventuale demoltiplicazione prodotta dalla catena partecipativa.».
La ratio è quella di evitare che le percentuali minime di diritti di voto e di partecipazione vengano “aggirate” grazie alla presenza di una holding, con conseguente applicazione del regime anche nei casi di partecipazioni sotto soglia. La finalità è condivisibile, tuttavia, la formulazione letterale non sembra del tutto chiara. Se interpretata in modo rigoroso (come peraltro risulta dalle risposte dell’agenzia delle Entrate) questa condizione limita fortemente la concreta applicazione del regime del realizzo.
Ci concentriamo sulla definizione di holding, fin dall’entrata in vigore dell’articolo 177, comma 2-bis, ad opera del decreto Crescita, nel maggio 2019, la prassi e la dottrina unanime hanno ritenuto applicabili i criteri previsti dall’articolo 162-bis, introdotto dal decreto Atad. Questa impostazione basata sui dati contabili è:
● in linea con il tenore letterale delle norme;
● conforme all’impianto normativo del Tuir;
● funzionale sotto il profilo dell’applicazione pratica.
La definizione dell’articolo 162-bis rileva «ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446», come espressamente riportato dal primo periodo della stessa norma.
La portata generale della definizione è confermata anche dalla relazione illustrativa al decreto Atad che ne sancisce l’applicazione «a tutte le disposizioni dell’ordinamento tributario che fanno riferimento a tali soggetti». L’articolo è collocato tra le Disposizioni Comuni del Tuir al Titolo III e intitolato «Intermediari finanziari e società di partecipazioni».
La locuzione utilizzata dall’articolo 177, comma 2-bis per individuare le holding è la medesima dell’articolo 162-bis ossia l’attività di assunzione di partecipazioni svolta in via esclusiva o prevalente.
In mancanza di una definizione specifica, la qualifica di holding ai fini del regime del realizzo controllato non può che essere quella dettata dall’articolo 162-bis. Di conseguenza, per verificare l’applicazione del regime di realizzo controllato, è il dato contabile l’elemento sul quale gli operatori devono fondare l’analisi di prevalenza dell’attività di holding.
L’agenzia delle Entrate ha espresso la sua posizione ufficiale nella risposta ad interpello n. 869 del 29 dicembre 2021. I soci istanti, sulla base dell’impostazione condivisa dalla dottrina e dalla prassi, sopra illustrata, suggeriscono l’applicazione dei criteri dettati dall’articolo 162-bis del Tuir.
L’agenzia delle Entrate, invece, ribadisce l’orientamento espresso nella risposta ad interpello n. 956-1757 del 26 luglio 2021 (non pubblicata) e afferma che per verificare la prevalenza dell’esercizio di attività di holding non si devono considerare i valori di bilancio, ma occorre fare riferimento ai valori correnti delle partecipazioni e del patrimonio complessivo. Secondo l’Agenzia, infatti, la definizione fornita dall’articolo 162-bis ed i relativi criteri rilevano solo in caso di applicazione diretta di una determinata disciplina ai soggetti definiti dal medesimo articolo, ossia le holding e gli intermediari finanziari.
Invece, nell’articolo 177, comma 2-bis, il riferimento alle società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni ossia alle holding non è funzionale all’applicazione del regime del realizzo controllato nei confronti delle stesse holding, ma è diretto all’individuazione dei requisiti necessari per beneficiarie di tale regime da parte dei soggetti conferenti (unici destinatari del regime). Di conseguenza, i criteri non possono essere quelli contabili previsti dall’articolo 162-bis.
Il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate non è condivisibile.
Al riguardo, occorre rimarcare che:
● l’articolo 162-bis ha portata applicativa generale e non risulta limitata esclusivamente a definire il soggetto al quale una determinata disciplina fiscale è applicabile;
● la stessa collocazione della norma nel Titolo III del Tuir dedicato alle disposizioni comuni indica chiaramente che si tratta di una definizione valida a tutti gli effetti nell’ambito delle imposte sui redditi (nonché dell’Irap);
● tale portata generale è stata confermata dalla Relazione illustrativa al decreto Atad che ha introdotto l’articolo 162-bis;
● l’entrata in vigore dell’articolo 162-bis è precedente a quella dell’articolo 177, comma 2-bis e in base ad un principio di specialità, se il legislatore avesse voluto derogare all’articolo 162-bis, avrebbe dovuto inserire nell’articolo 177, comma 2-bis una definizione di holding specifica rispetto a quella generale già in vigore;
● il decreto Atad, peraltro, ha dato attuazione alle direttive europee volte al contrasto di fenomeni elusivi condotti anche tramite l’utilizzo di schemi societari interposti e tale finalità risulta in piena coerenza con la ratio antiabuso sottesa al requisito previsto dall’articolo 177, comma 2-bis del Tuir per il conferimento di partecipazioni in holding.
L’agenzia delle Entrate sostiene, inoltre, che la locuzione contenuta nel citato comma 2-bis, «società la cui attività consiste in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni» è analoga a quella contenuta nell’articolo 87, comma 5 per la commercialità ai fini pex, ma tale locuzione risulta analoga anche a quella utilizzata nell’articolo 162-bis «esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni». Questa argomentazione, pertanto, non risulta dirimente. Anzi il richiamo all’articolo 87 che contiene una specifica nozione di impresa commerciale e di holding ai fini pex, conferma semmai che se il legislatore non ha introdotto una specifica definizione di holding ai fini del 177, comma 2-bis non ha voluto discostarsi dal 162-bis.
Oltre alle incongruenze sopra evidenziate, la criticità più rilevante attiene agli aspetti pratici e alla concreta applicazione dei criteri previsti dall’Agenzia. Infatti, seguendo le indicazioni dell’interpello 869/2021, ai fini dell’articolo 177, comma 2-bis, la qualifica di holding dovrebbe essere verificata tenendo conto del rapporto tra il valore corrente di tutte le partecipazioni detenute della società scambiata e il suo valore corrente complessivo, alla data in cui il conferimento ha efficacia giuridica.
In concreto tale verifica è estremamente difficoltosa e può generare situazioni di incertezza. Il riferimento ai valori correnti implica, infatti, valutazioni d’azienda complesse, soprattutto in caso di gruppi di imprese, operanti in settori diversi, con (in più) un inevitabile elemento di soggettività.
Come ulteriore criticità, segnaliamo infine che secondo l’Agenzia il riferimento a tutte le partecipazioni, posta a considerare non solo quelle immobilizzate, ma anche quelle contabilizzate nell’attivo circolante, destinate alla cessione nel breve periodo.
Diversamente, a nostro avviso, la definizione basata sui valori contabili risultanti dal bilancio, ex articolo 162-bis risulta pienamente coerente con l’impianto normativo del Tuir ed essendo ancorata a parametri oggettivi limita situazioni di incertezza.
Auspichiamo, pertanto, un’ulteriore riflessione da parte dell’Agenzia che tenga conto della realtà dei gruppi imprenditoriali italiani, delle complessità dei processi di valutazione e degli obiettivi di riorganizzazione imprenditoriale che il legislatore ha inteso favorire con l’introduzione dei conferimenti in regime di realizzo controllato.
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