Controlli e liti

Conferma della Cassazione: l’accertamento anticipato è illegittimo

di Roberto Bianchi

La Suprema Corte è nuovamente tornata a esprimersi sul tema degli avvisi di accertamento “precoci” attraverso la sentenza n. 25692/2016.
Nella circostanza di specie, mediante l’utilizzo degli studi di settore, l’A.E. aveva incrementato i redditi dei soci di una Sas attraverso tre differenti atti di accertamento.
In conseguenza all’accoglimento, da parte della Ctp di Reggio Emilia, del ricorso proposto dalla società e dell’impugnazione della sentenza di primo grado depositata dall’A.E., la Ctr del capoluogo emiliano suffragava la sentenza emessa dai giudici reggiani rappresentando, tra l’altro, che gli studi di settore sono forieri di una presunzione semplice e che l’Ufficio non aveva fornito elementi comprovanti i requisiti di gravità, precisione e concordanza propri di tale presunzione, in grado di avvalorare gli studi applicati: nello specifico, l’A.E. non aveva «dato conto (…) di elementi idonei alla configurazione di un maggiore reddito in capo al contribuente». Per di più gli atti di accertamento erano «stati notificati prima del termine di cui alla legge 212/2000, articolo 12, comma 7» mentre l’Ufficio non si era preoccupato di giustificare la particolare e motivata urgenza, in grado di legittimare la notifica “precoce”.
A fronte di ciò l’A.E. decideva di depositare ricorso innanzi alla Corte di cassazione, la quale però cassava le richieste dell’Ufficio analizzando prioritariamente, «in ragione della sua pregiudizialità logica», il motivo di confutazione concernente, nello specifico, la vicenda afferente la notifica degli avvisi antecedentemente alla scadenza del termine, disciplinata dal comma 7 dell’articolo 12 della L. 212/2000.
Nel proprio ricorso l’A.E. aveva asserito, infatti, che la disciplina menzionata non poteva considerarsi utilizzabile nella vicenda in esame in quanto «nella fase del contraddittorio la società ha potuto difendersi in maniera esaustiva, per cui non risultano in alcun modo violati i diritti del contribuente».
Gli ermellini hanno tuttavia reputato che il caso in questione rientrasse palesemente nel dominio del testo normativo di cui alla richiamata disciplina, evidenziando che si era verificato un accesso da parte dell’Ufficio presso i locali dell’ente, rivolto alla raccolta di materiale significativo, finalizzato all’applicazione degli studi di settore e che era stato stilato e notificato ai soggetti interessati il conseguente Pvc. Pertanto, in ottemperanza a quanto disposto dal comma 7, «(….) dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza».
Nella sentenza in commento la Suprema Corte, nel menzionare la decisione a Sezioni unite n. 18184/2013, ha condiviso la decisione assunta dalla Ctr felsinea che ha sancito la nullità degli avvisi di accertamento in quanto, nella circostanza in cui gli atti impositivi vengano notificati in conseguenza di un accesso ma antecedentemente alla decorrenza del “termine dilatorio”, «l’inosservanza di detto termine determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus».

Mediante l’ulteriore sentenza n. 19667/2014 le Sezioni unite hanno inoltre evidenziato l’esistenza di un vincolo al contraddittorio preventivo massificato di gran lunga più vasto (richiamati gli articoli 24 e 97 della Costituzione) di quello scaturente dalla sent. n. 18184/2013, con l’effetto che la circostanza del contraddittorio, da effettuarsi entro i 60 giorni successivi alla chiusura del verbale, genererebbe una “species” del più esteso “genus” del postulato medesimo.
Tuttavia, attraverso la pronuncia n. 19667/2014, le Sezioni unite hanno richiamato altresì gli standard dell’Unione, così come raffigurati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia ( sentenza 18 dicembre 2008, causa C-349/07 ) e di conseguenza il punto 49 della sentenza Sopropè deve essere considerato, a tutti gli effetti, una pietra miliare nel procedimento tributario.

La contingenza menzionata dall’A.E. a propria salvaguardia - rappresentata dalla circostanza che risultava avviato il contraddittorio obbligatorio finalizzato a rendere operativi gli studi di settore dopo la notifica dell’avviso di accertamento, in conseguenza all’utilizzo degli studi quale metodologia accertativa - non è stata ritenuta dalla Suprema Corte bastante per giustificare l’operato dell’Ufficio.
I giudici del Palazzaccio hanno tuttavia voluto evidenziare che, sebbene un precedente giurisprudenziale di legittimità (sentenza 7960/2014) si era instradato nell’accezione rappresentata dall’A.E., in tale circostanza non si era verificato alcun accesso presso i locali del contribuente.
Il rispetto del termine è di conseguenza considerato dalla Corte Suprema, «adempimento ineludibile essendo primaria espressione dei principi (…) di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed essendo diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva».
Qualora si dovesse reputare corretta la differente teoria che mira a giustificare la violazione del termine disciplinato dal comma 7 nell’ipotesi di confronto indirizzato all’accertamento standardizzato, si verificherebbe una inammissibile «commistione di normative aventi ambiti applicativi del tutto distinti».

La sentenza n.25692/16 della Cassazione

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