Imposte

Nell’attività di advisory il Fisco pesa la componente consulenziale

Nelle ultime risposte l’Agenzia ritiene imponibili le operazioni. Le Entrate in passato hanno valorizzato l’indipendenza con connessa esenzione Iva

di Alessandro Germani

La recente risposta n. 382 del 15 luglio scorso torna sulla questione se l’attività di un advisor che conduce alla cessione di una partecipazione debba essere inquadrata come intermediazione nella vendita dei titoli – come tale esente – oppure si tratti di una complessa e variegata attività di advisory imponibile. Il pensiero dell’Agenzia nelle varie risposte fornite non appare convincente. Vediamo il perché.

Giova effettuare una premessa, perché l’assoggettamento a Iva della prestazione è particolarmente penalizzante se si considera un soggetto finanziario o una holding con un diritto alla detrazione nullo o limitato, mentre per uno industriale con un pro-rata di detraibilità del 100% risulta meno impattante. Ma al di là di tale aspetto vediamo le motivazioni alla base delle pronunce dell’Agenzia.

La risposta n. 382 inquadra bene le attività dell’advisor che consistono nella:

1. raccolta ed analisi della documentazione

2. strutturazione dell’operazione

3. assistenza nella vendor due diligence

4. predisposizione di una lista di potenziali compratori

5. gestione della successiva asta competitiva

6. supporto nella data room e due diligence

7. assistenza in tutta la fase negoziale e contrattuale fino al closing dell’operazione.

La prestazione prevede una componente fissa (retainer fee) ed una variabile (success fee) che scatta solo a conclusione dell’operazione. Già il fatto che una grossa componente sia variabile e legata all’effettiva cessione della partecipazione induce a ragionare sul peso dell’intervento dell’advisor nel mettere in contatto le parti e portarle a finalizzare l’operazione, il che potrebbe far propendere per l’intermediazione esente.

A ogni modo l’Agenzia si limita a richiamare il trittico di risposte del 4 luglio 2022 (n. 360, 361 e 362) per cui bisogna riferirsi a quelle.

Nella risposta n. 360, su un caso del tutto simile, l’istante aveva fatto leva su pronunce pregresse (risoluzioni 267/E/09, 343/E/08, 38/E/18, 61/E/18) che l’Agenzia respinge al mittente in quanto si trattava di soggetti che svolgevano attività riservate ai sensi del Testo unico della finanza, come tali automaticamente in esenzione. Anche questa considerazione non convince, perché l’Agenzia appare legata ad un retaggio basato sul requisito soggettivo quando è chiaro, anche a livello di Corte Ue, che l’esenzione sia un requisito oggettivo.

La conclusione poi è quella di una prestazione complessa, come tale da considerare imponibile.

La successiva n. 361 appare meno dirimente in quanto l’Agenzia contesta il principio per cui in presenza di un doppio advisor vi possa essere una sorta di esenzione Iva derivata, ovvero che il connotato di intermediazione fra il cliente e l’advisor si trasmetta anche al secondo intermediario.

Nella risposta n. 362 l’Agenzia torna sul concetto per cui le attività dell’advisor sono di tipo consulenziale, quindi da assoggettare a Iva. Ma puntualizza il fatto che il broker, che ha il compito di individuare i potenziali compratori e di gestire le varie fasi della trattativa, debba essere “indipendente”.

In base al Comitato consultivo dell’Iva (working paper 849/2015) l’attività di negoziazione:

è un servizio reso a una parte contrattuale e remunerato da quest’ultima come distinta attività di mediazione;

può consistere, tra l’altro, nell’indicare le occasioni in cui concludere un tale contratto, nell’entrare in contatto con l’altra parte e nel negoziare in nome e per conto del cliente i particolari delle prestazioni reciproche;

la cui finalità è quindi di fare il necessario perché due parti concludano un contratto, senza che il negoziatore abbia un proprio interesse riguardo al contenuto del contratto.

Tali concetti hanno portato l’Agenzia, nelle risposte n. 299 del 26 maggio 2022 e 852 del 22 dicembre 2021, a confermare l’esenzione Iva per l’attività di intermediazione.

Tuttavia, l’indipendenza e imparzialità rispetto alle parti contrattuali, la mancata percezione di commissioni da terzi ovvero il fatto di essere remunerato con una success fee e di non essere legato da alcun rapporto partecipativo con le parti della vendita è in genere la norma in operazioni di mercato in cui si ricorre a un advisor. In presenza di tali condizioni, nella risposta 852/21 è stata riconosciuta l’esenzione in capo al broker danese che svolgeva un ruolo complesso di advisory. Lo stesso dicasi per la banca d’affari di cui alla risposta 299/22. E si capisce come, nella risposta 437/20, l’esenzione non sia stata accordata in assenza della posizione di imparzialità, per cui la prestazione diviene imponibile.

Ma nei casi più recenti, laddove la posizione dell’intermediario appaia tale in tutti i suoi connotati, convincono meno le motivazioni volte a negare l’esenzione.

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