Controlli e liti

Confisca limitata al valore alienato

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Per il reato di sottrazione fraudolenta, così come per ogni delitto tributario, è prevista la confisca del profitto anche per equivalente, eventualmente preceduta dal sequestro preventivo. Nei reati tributari il profitto del delitto, generalmente coincide con il vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal fatto compiuto. Si identifica, normalmente, nell’ammontare delle ritenute o delle imposte dovute e non versate, concretizzandosi in tali valori un illecito risparmio del contribuente.

Nella sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, invece, la condotta illecita è finalizzata ad evitare complessivamente il pagamento delle imposte. Tuttavia, il reato è integrato anche in assenza di un’attività di riscossione avviata, con la conseguenza che non è necessaria la preesistenza di un debito di imposta già conclamato.

In tale contesto, il profitto del reato non è ravvisabile nell’imposta evasa (dato che potrebbe mancare la pretesa effettiva), ma nel valore dei beni, fraudolentemente sottratti, idonei a fungere da garanzia per l’Erario.

A rimarcare ulteriormente l’irrilevanza della preesistenza del debito tributario, soccorre un orientamento ormai costante della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il profitto va comunque commisurato al valore dei beni simulatamente trasferiti anche se questo risulti inferiore all’imposta evasa successivamente emersa (Cassazione 35303/2016).

Va sottolineato però che tale orientamento della Suprema corte normalmente concerne ipotesi in cui il contribuente ha commesso anche altri reati tributari (dichiarazione fraudolenta, infedele, omessa, eccetera) e il profitto illecito tratto da questi delitti è superiore a quello della sottrazione.

La Suprema corte in genere ha ritenuto che l’eventuale sequestro di beni operato per la sottrazione fraudolenta non dovesse essere commisurato al più ampio profitto derivante dall’altro reato tributario, ma dal valore della garanzia sottratta all’Erario (di norma inferiore all’evasione).

La circostanza è molto importante perché appare evidente che ove l’imposta evasa sia inferiore al valore del bene sottratto, il profitto ai fini della confisca dovrebbe limitarsi a tale imposta, diversamente infatti il contribuente subirebbe un pena superiore alla gravità del delitto commesso e al danno erariale ipotizzabile.

Si pensi ad esempio a un soggetto accusato del delitto di omessa dichiarazione, con imposta contestata pari a 70mila euro, e contemporaneamente anche di sottrazione fraudolenta, con il patrimonio simulatamente trasferito pari a un milione di euro: la confisca di un milione in luogo dell’imposta realmente evasa (70mila euro) non avrebbe alcun senso.

Peraltro, una conferma di tale interpretazione è desumibile anche dal fatto che la fattispecie prevede due soglie: una (50mila euro) ai fini della punibilità, l’altra (200mila euro) ai fini dell’aggravante speciale, che comunque subordinano la sussistenza del reato a una somma da evadere.

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