Conti della società non sequestrabili dopo il fallimento
Dopo il fallimento della società è illegittimo il sequestro preventivo finalizzato alla confisca sui conti correnti: si tratta, infatti, di beni nella disponibilità della curatela e pertanto non è individuabile il profitto del reato. Ad affermarlo è la Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza 45574 depositata ieri.
Un tribunale del riesame confermava il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente sui conti correnti di una società già dichiarata fallita e sui beni del legale rappresentante. In particolare, erano contestati i reati di omesso versamento di Iva e ritenute. Il curatore ricorreva in Cassazione deducendo, tra l’altro, che i conti correnti oggetto di sequestro erano ormai nella disponibilità della curatela e non più della compagine fallita, con la conseguenza che la confisca non poteva operare in quanto era confluita la massa attiva del fallimento.
La difesa evidenziava in proposito che l’articolo 12 bis del Dlgs 74/2000, pur disponendo l’obbligatorietà della confisca, consente la misura solo quando abbia ad oggetto beni che costituiscono il profitto o il prezzo, ovvero quando ciò non sia possibile sui beni di valore equivalente di cui il reo abbia la disponibilità.
La Suprema Corte, in accoglimento del ricorso, ha innanzitutto evidenziato che il concetto di disponibilità, nel settore delle cautele reali ha un contenuto esclusivamente fattuale, corrispondendo in sostanza al potere di fatto sul bene. La disponibilità di un bene ai fini del sequestro, quindi, esige l’effettività ovvero un reale potere di fatto sul bene che ne è l’oggetto. A seguito dell’apertura del fallimento, il fallito è spossessato dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale del ceto creditorio, ed è conferito al curatore il potere di gestione al fine di evitarne il depauperamento o dispersione.
L’attivo fallimentare pertanto rappresenta un bene nella disponibilità di terzi (curatela).
I giudici di legittimità hanno ricordato che nei reati tributari il sequestro diretto è consentito solo sul denaro o su altri beni fungibili di proprietà della persona giuridica, poiché solo così è colpito il profitto del reato. In assenza del ritrovamento di tali somme di denaro, è consentito il sequestro per equivalente nei confronti del legale rappresentante o degli amministratori. Nella specie, sui conti correnti della società erano confluite anche somme derivanti dalla gestione della curatela, con la conseguenza che sicuramente non potevano ricondursi direttamente al profitto del reato.
La Cassazione ha così evidenziato che la società non poteva essere destinataria del provvedimento di sequestro né in forma diretta, poiché le somme rinvenute non erano riconducibili al reato; tanto meno per equivalente, volto a colpire i beni della persona fisica che ha agito quale organo della società.
Il principio appare particolarmente importante poiché sovente i conti correnti delle società fallite si presentano con saldi attivi. Tuttavia, come condivisibilmente affermato dalla Suprema Corte, si tratta di somme derivanti dall’attività gestoria del curatore, per le quali può escludersi in origine la provenienza da un illecito.
Cassazione, III sezione penale, sentenza 45574 del 10 ottobre 2018