Controlli e liti

Contraddittorio preventivo, la Consulta «mantiene» un rapporto subalterno

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di Andrea Carinci

L’attesa era vibrante, a tratti febbrile. Dopo la sconfortante sentenza delle Sezioni Unite del 9 dicembre 2015, la n. 24823, che con un improvvido revirement aveva riportato la discussione sul contraddittorio procedimentale praticamente all’anno zero, tutte le speranze erano riposte sulla Corte costituzionale.

Speranze, peraltro, subito accese proprio dall’ordinanza della Commissione regionale della Toscana del 18 gennaio 2016, che, anche per l’autorevolezza del suo presidente, aveva fatto ben sperare.

Ebbene, con le tre ordinanze coeve n. 187 , n. 188 e n. 189 del 13 luglio 2017, le speranze sono state frustrate. La Consulta ha infatti dichiarato inammissibili tutte e tre le ordinanze di remissione: non solo quella della Ctr della Toscana, ma anche quella della Ctp di Siracusa del 17 giugno 2016 e quella della Ctr della Campania del 6 maggio 2016. Tutte quante manifestatamente inammissibili per ragioni strettamente processuali, quali la inadeguata descrizione della fattispecie oggetto del giudizio principale, effettuata con modalità tali da non consentire la necessaria verifica della rilevanza della questione (Ctr Toscana e CtpSiracusa), ovvero la generica e incerta formulazione del petitum sotto il profilo sia della individuazione delle disposizioni censurate, sia della pronunzia da adottare (Ctr Campania).

Condivisibili o meno che siano le conclusioni della Consulta, resta l’amarezza per l’occasione sprecata, perché, ancora una volta, è stato così eluso il problema del valore sistematico o meno del contraddittorio. Ma per quanto è ancora possibile? La mancata decisione della Consulta – seppur legittima in punto di diritto - lascia aperta la “ferita”, alla logicità e coerenza del sistema, inferta dalla citata sentenza della Cassazione. Questa, va ricordato, non solo era giunta a sostenere che il contraddittorio non costituisce un principio immanente dell’ordinamento. Soprattutto, è pervenuta a prefigurare (ed è qui il vulnus) la possibilità di distinguere, in seno all’ordinamento, tra tributi armonizzati e tributi non armonizzati, per riconoscere solo ai primi (in forza delle fonti comunitarie) la generale applicazione del contradittorio, laddove per i secondi questo sarebbe obbligatorio nei soli casi in cui ciò è previsto espressamente: accertamenti con verifica presso il contribuente, redditometro, studi di settore ecc.. Ma è questa, con ogni evidenza, una distinzione che contrasta con l’articolo 3 della Costituzione, giacché consente di discriminare il trattamento dei contribuenti in ragione del tipo di tributo e di procedimento. Per il momento la partita è chiusa, ma la questione è solamente rinviata. L’auspicio è quindi che i giudici tributari, fatto tesoro di questa esperienza, possano quanto prima riproporre il quesito con la massima attenzione ai profili strettamente processuali, per costringere la Consulta a prendere una posizione.

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