Contraddittorio preventivo senza obbligo generalizzato
L’obbligo per l’amministrazione finanziaria di attivare il contraddittorio endoprocedimentale non può essere considerato un diritto generalizzato del contribuente né tantomeno un principio ancorato e riconosciuto da norme costituzionali, le quali attengono testualmente all’ambito giudiziale. Questo il principio che emerge dalla sentenza 1542/17/2018 della Ctr Lombardia (clicca qui per consultare il testo della pronuncia).
La vicenda
La controversia portata all’attenzione dei giudici ambrosiani aveva ad oggetto l’impugnazione da parte di una società in nome collettivo e dai soci di avviso di accertamento con cui l’Ufficio rideterminava il reddito della società e, di conseguenza, il reddito di partecipazione attribuito ai soci.
I ricorrenti, fra i vari motivi di impugnazione, eccepivano la nullità dell’avviso per omessa instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale oltre che l’inesistenza dei presupposti del metodo di accertamento utilizzato (articolo 39, comma 1, del Dpr 600/1973) in assenza di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni.
I giudici di prime cure accoglievano le doglianze dei ricorrenti ed in particolare dichiaravano la nullità dell’accertamento per la violazione del diritto del contribuente al contraddittorio in quanto l’articolo 12 dello Statuto del contribuente «riconosce , in modo inequivocabile, il diritto del contribuente di essere informato delle ragioni per le quali viene sottoposto a controllo. Nel caso di specie tale “diritto” era stato negato al contribuente; infatti, secondo l’orientamento della giurisprudenza comunitaria, ogni cittadino ha diritto di essere ascoltato prima che, nei suoi riguardi, sia emesso un atto che possa incidere sul suo patrimonio. Da questo principio emerge l’obbligo generale dell’agenzia delle Entrate di riconoscere al contribuente il diritto al contraddittorio preventivo».
La sentenza
Il collegio d’appello, investito del gravame di parte pubblica, decide di accoglierlo riformando la sentenza di primo grado. Sul contraddittorio endoprocedimentale, tema ampiamente dibattuto nelle aule della giustizia tributaria, la Ctr ritiene di aderire al principio di diritto enunciato recentemente dalle Sezioni unite della Cassazione le quali hanno escluso l’esistenza di un generalizzato obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale in campo tributario, in quanto si tratta di un diritto del contribuente che non può essere direttamente ancorato agli articoli 24 e 97 della Costituzione; ciò sia perché l’articolo 24 (diritto alla difesa) attiene testualmente all’ambito giudiziale sia perché l’articolo 97 (buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione) non reca, in alcuna delle sue articolazioni, il benché minimo indice rivelatore dell’indefettibilità del contraddittorio endoprocedimentale.
Esclusa pertanto la matrice costituzionale del diritto al contraddittorio endoprocedimentale i giudici d’appello ritengono di accostarsi, per quanto concerne la fase procedimentale, alla medesima sentenza delle Sezioni unite laddove la previsione dell’articolo 12 dello Statuto va applicata nel senso che essa non costituisce fonte di un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale a carico dell’amministrazione che, invece, sussiste ogni qual volta essa si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente; pertanto, pur in assenza di una specifica norma positiva che per quel provvedimento lo sancisca, l’amministrazione finanziaria deve attivare con l’interessato il contraddittorio preventivo, pena l’invalidità dell’atto, per tutte quelle operazioni che costituiscono categorie d’intervento accertativo tipizzate ed inequivocabilmente identificabili, in base alle indicazioni all’articolo 52, comma 1, del Dpr 633/1972, richiamato, in tema di imposte dirette, dall’articolo 32, comma 1, del Dpr 600/1973 e, in materia di imposta di registro dall’articolo 53-bis del Dpr 131/1986.
I giudici decidono, infine, di sovvertire la pronuncia di primo grado anche in merito all’eccezione formulata dai ricorrenti ed accolta in primo grado circa l’illegittimità del metodo di accertamento utilizzato dall’Ufficio. Sul punto rammentano come i giudici di legittimità in più occasioni (inter alias Cassazione 24271/2015 e 19602/2015) hanno chiarito che la ricostruzione dei ricavi e del volume d’affari di un contribuente può essere effettuata indirettamente sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, anche qualora la contabilità sia formalmente regolare; nel caso di specie l’amministrazione finanziaria, secondo il Collegio, aveva prescelto legittimamente il metodo di accertamento utilizzato in virtù di una serie di indizi (beni in giacenza di magazzino non coperti da relativa fattura di acquisto, incongruenze relative agli acquisti , incongruenze fra costi di acquisizione beni e servizi e ricavi contabilizzati) che hanno portato ad una corretta determinazione del reddito «compatibile con il criterio della normalità».
Ctr Lombardia, sentenza 1542/17/2018