Corruzione per l’accertamento con adesione
Va sanzionata a titolo di corruzione propria la condotta di chi riesce a ottenere un nuovo accertamento, con adesione, dai dirigenti dell’amministrazione finanziaria, dopo avere concordato l’annullamento di quello precedente. Lo mette in evidenza la Corte di cassazione, con la sentenza n. 38500 della Sesta sezione penale depositata ieri. La Corte ha così confermato, sia pure abbassandola, la condanna, accompagnata dalla confisca di quasi 7 milioni di euro, inflitta per la corruzione di un direttore provinciale delle Entrate.
La Corte chiarisce che la soluzione al centro del patto corruttivo, la proposta cioè di un atto nuovo di accertamento con adesione, rappresentava un’anomalia, L’atto, infatti, non avrebbe potuto assumere una natura genericamente transattiva, ma avrebbe dovuto tenere conto delle obiezioni del contribuente e del loro margine di fondatezza, «derivandone in questo caso che, se fosse stato riconosciuto un apprezzabile interesse allo svolgimento delle operazioni societarie, non avrebbe potuto farsi luogo a recupero d’imposta, nel caso opposto non essendo dato comprendere come sulla base di un percorso trasparente potesse giungersi alle conclusioni proposte».
Nella ricostruzione avvalorata dalla Cassazione, infatti, gli atti di accertamento con adesione si giustificano alla luce della necessità di arrivare a un compromesso almeno apparente, centrato sul riconoscimento del carattere elusivo-abusivo delle operazioni contestate, salvo il fatto poi che, senza una concreta spiegazione, il riconoscimento veniva disatteso in maniera da arrivare «a conclusioni imprescrutabili nei singoli passaggi e sostanzialmente volte a vanificare il recupero di imposta e azzerare di fatto la tassazione del reddito di impresa» della società X.
Il carattere strumentale e contraddittorio della soluzione messa a punto, che eccede nella lettura della Corte i limiti del corretto esercizio della discrezionalità tecnica affidata alla pubblica amministrazione per arrivare in contraddittorio alla determinazione delle ragioni del contribuente, è evidente alla luce di alcuni elementi. In particolare non viene mai preso in considerazione il fatto che fosse ormai consolidato l’orientamento indirizzato a dare rilevanza al profilo di abuso del diritto per i casi esaminati, non vengono indicate nel dettaglio le ragioni per cui alla complessa operazione poteva in effetti corrispondere una concreta utilità. L’atto di accertamento, invece, aveva poi concluso che l’intento elusivo non sarebbe stato del tutto certo e quantificabile, in maniera tale che le operazioni avrebbero potuto avere una finalità diversa da quella fiscale.
Cassazione, sentenza 38500/2018