Costi indeducibili e ricavi presunti vanno eccepiti in Ctp
La Cassazione in presenza di accertamenti nei confronti di società a base ristretta conferma, in linea di massima, la legittimità della pretesa (da ultimo si segnala sentenza 24534, depositata il 17 ottobre scorso, sul Sole 24 Ore del 18 ottobre). Le numerose sentenze intervenute sull’argomento consentono tuttavia di delineare alcuni possibili scenari difensivi e, soprattutto, di evitare di insistere su determinate eccezioni destinate a essere sicuramente respinte.
Innanzitutto si fa spesso riferimento a qualche pronuncia di merito che non ritiene ammissibile tale forma di imputazione “automatica” ai soci in contrasto con l’orientamento di legittimità. Anche se la commissione tributaria dovesse accogliere questa tesi, l’ufficio, forte dell’opposto consolidato orientamento della Cassazione, certamente ricorrerà presso i giudici di legittimità e vedrà affermata la propria pretesa, per cui non appare utile far riferimento a tale interpretazione.
Poi si fa spesso riferimento al divieto nel nostro ordinamento di una doppia presunzione (la prima di maggior reddito in capo alla società e, la seconda, di distribuzione di tali somme ai soci). La Cassazione ha sempre ritenuto infondata tale eccezione: il fatto noto su cui si fonda l’accertamento dei soci, è rappresentato dalla ristretta base azionaria, i maggiori ricavi rappresentano, mentre il “dato certo” degli utili extra bilancio accertati in via definitiva nei confronti della società (Cassazione 23940/2011, 19241/2011, eccetera).
Semmai, in presenza di un elevato numero di soci potrebbe essere opportuno rappresentare che non è possibile attribuire, senza una prova concreta di incasso, il dividendo e che, inoltre, la pretesa avanzata alla società deve essere divenuta definitiva. In caso contrario, la rettifica ai soci risulterebbe fondata su un atto privo di certezza, in quanto un giudice potrebbe dichiararne la nullità/infondatezza o rideterminare l’imponibile.
La questione principale, tuttavia, attiene le imputazioni ai soci per rilievi alla società che non palesano una disponibilità finanziaria occulta certa (come in caso di fatture false in acquisto, vendite senza fattura, eccetera) la quale si presume distribuita ai soci. Questo accade in particolare quando il Fisco parte da contestazioni presuntive di maggiori ricavi, costi indeducibili e così via, in cui non vi è alcuna prova concreta della disponibilità finanziaria occulta in capo alla società (e quindi della successiva distribuzione).
Spesso le commissioni tributarie non si preoccupano di approfondire la tipologia di rettifica alla società ma, se ritenuta fondata, si limitano automaticamente a confermare la pretesa degli uffici anche in capo ai soci. Si tratta di un errore che vìola l’interpretazione pressoché costante della Suprema corte (salvo isolate e datate eccezione per le quali si veda l’articolo a fianco). È importante quindi che nei primi due gradi di giudizio venga ben spiegata questa particolarità, onde evitare che i giudici di merito applichino un automatismo poi difficilmente contestabile in sede di legittimità, visti i limiti della Suprema corte a intervenire su valutazioni di merito.