Costi per la consulenza deducibili solo con la prova dell’inerenza
L’ordinanza 12380 della Cassazione: in fattura va indicato l’appalto a cui si riferisce la spesa
Le spese di consulenza legale e commerciale, seppur effettive ed esistenti, non sono deducibili se il contribuente non prova e circostanzia la correlazione dei costi all’attività d’impresa. Pertanto, il costo esposto in fattura che descrive solamente la consulenza prestata senza indicare però a quale specifico appalto – che deve essere attinente all’oggetto sociale - si riferisce la prestazione è non inerente e, quindi, indeducibile dal reddito d’impresa. È la conclusione a cui è giunta la Cassazione con l’ordinanza 12380/2021.
L’inerenza dei costi è la condizione subordinatamente alla quale un costo può essere dedotto dal reddito d’impresa, o di lavoro autonomo, e la relativa Iva può essere portata in detrazione. La linea di demarcazione, tra ciò che può essere legittimamente dedotto e detratto, è stata da sempre oggetto di acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale soprattutto quando la deducibilità dei costi – sempreché siano certi ed effettivi – viene messa in discussione invocando la non inerenza degli stessi.
È ormai principio consolidato quello secondo cui i costi, per essere deducibili, non devono essere correlati ai ricavi, bensì afferenti all’attività imprenditoriale nel suo complesso. Quindi, non essendovi un’espressa previsione normativa che qualifichi il concetto di inerenza, si dovrà escludere, dal novero dei costi deducibili, solo quelli che si collocano in una sfera estranea all’attività d’impresa. Altrettanto pacifico è l’orientamento giurisprudenziale che fa ricadere sul contribuente l’onere di provare l’inerenza del componente negativo a meno che dal costo o dalla prestazione è facilmente desumibile la correlazione tra la spesa e l’attività d’impresa.
Tuttavia, se l’amministrazione finanziaria non contesta l’inesistenza dei costi e la fattura è regolare, opera la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, con conseguente onere dell’agenzia delle Entrate di fornire la prova della non inerenza e, quindi, dell’indeducibilità del costo (Cassazione, sentenza 30350/18).
Se l’inerenza attiene ad un giudizio qualitativo può assumere rilievo anche la valutazione, che spesso gli uffici fanno, dell’antieconomicità e sproporzionalità del costo sostenuto. In tale contesto però, l’antieconomicità, richiamata a posteriori per verificare l’inerenza dei costi, rischia di mettere un veto sulle scelte e strategie imprenditoriali anche se apparentemente possono sembrare opinabili.
Su questo versante, comunque, l’indeducibilità del costo basata sulla valutazione economica delle scelte dell’imprenditore rappresenta soltanto un indizio dell’eventuale carenza dell’inerenza (Cassazione, ordinanza 6368/2021).
Se ai fini delle imposte sui redditi l’amministrazione finanziaria può sindacare l’economicità e la congruità della spesa, altrettanto non gli è permesso ai fini dell’Iva. In questo caso, infatti, l’inerenza, indispensabile per detrarre l’imposta, non può essere esclusa adducendo l’incongruenza del costo a meno che l’agenzia delle Entrate non dimostri l’inesistenza o fraudolenza delle operazioni da cui deriva l’Iva oggetto di detrazione, ovvero, la macroscopica antieconomicità che rileva l’assenza di connessione tra il costo e l’attività d’impresa (Cassazione, ordinanza 21001/2021).