Adempimenti

Credito d’imposta estero al test Trattati

di Alessio Vagnarelli

Il principio di diritto 15/2019 dell’agenzia delle Entrate consente di formulare alcune riflessioni sui limiti del recupero in Italia delle imposte pagate all’estero nei rapporti tra normativa convenzionale e domestica.

Il criterio del riconoscimento di un credito d’imposta (sotto forma di detrazione) è applicato dall’Italia per ridurre o eliminare la doppia imposizione giuridica (quella che grava sullo stesso contribuente) ed è espresso sia dall’articolo 165 del Tuir che, nella maggior parte dei casi, dagli articoli 23 o 24 dei singoli Trattati contro le doppie imposizioni (si veda il Commentario all’articolo 23 B del modello di Trattato Ocse).

Il legame gerarchico tra l’articolo 23/24 e l’articolo 165 può creare dubbi applicativi quando si ragiona sul comma 10 dell’articolo 165 (norma introdotta con la riforma Ires del 2003) che impone di riproporzionare l’imposta pagata all’estero per il rapporto tra reddito estero tassato in Italia e il reddito complessivo estero (rideterminato secondo le regole italiane).

Il comma 10, nella sostanza, definisce quanta parte dell’imposta estera possa considerarsi riferibile al reddito effettivamente tassato in Italia nell’ ipotesi di concorso parziale del reddito estero all’ imponibile italiano.

L’articolo 23/24 dei Trattati non esprime, invece, nella maggior parte dei casi, tale condizione ma si limita a individuare il limite, già contemplato dal comma 1, dell’articolo 165, della quota dell’imposta italiana afferente ai redditi esteri che hanno concorso al reddito complessivo italiano; soltanto di recente (si veda a fianco) il Governo italiano ha negoziato con alcuni Stati esteri l’introduzione nel testo di una specifica previsione che replica il contenuto del comma 10.

Il Commentario all’articolo 23 B riconosce che le regole di dettaglio per il materiale recupero del credito possano essere demandate alla normativa domestica dei singoli Stati («Article 23 B sets out the main rules of the credit method, but does not give detailed rules on the computation and operation of the credit») ma sembrerebbe non ammettere l’introduzione unilaterale (a maggior ragione se successiva alla stipula dei singoli Trattati) di quelle che, parte della dottrina, definisce “integrazioni negative”, cioè quelle limitazioni che producono una perdita totale o parziale del diritto alla detrazione dell’imposta estera.

A tale categoria si ritiene possa essere ascritto il comma 10 dell’articolo 165 del Tuir che limita, per normativa interna, la recuperabilità di una quota parte dell’imposta pagata all’estero.

Tale interpretazione non è accolta dall’Amministrazione finanziaria che sostiene la tesi secondo cui il comma 10 assume valenza esclusivamente attuativa dell’articolo 23/24 del Trattato e più in generale dell’articolo 165, comma 1, del Tuir.

Se così fosse non si comprende però il motivo per cui, nei più recenti Trattati stipulati dall’Italia, è stato espressamente incluso l’ulteriore comma «l’imposta pagata in (Paese estero) per la quale spetta la detrazione è solo l’ammontare pro-rata corrispondente alla parte del reddito estero che concorre alla formazione del reddito complessivo»; seguendo il ragionamento dell’Amministrazione finanziaria, infatti, tale aggiunta si sostanzierebbe nella riproduzione di una norma di dettaglio che già troverebbe nella normativa domestica (comma 10) la sua naturale collocazione.

Rimane il dubbio, invece, che la natura della norma abbia consigliato di negoziarne il contenuto negli specifici Trattati evitando il possibile ricorso alla procedura arbitrale disciplinata dall’articolo 25 del Trattato o, più probabilmente, alla richiesta in sede giudiziaria del rimborso del minor credito recuperato. Naturalmente se tale lettura dovesse essere confermata, eventuali modifiche ai Trattati sottoscritti e che non prevedono una tale pattuizione, non potranno produrre effetti che per il futuro.

I trattati contro le doppie imposizioni

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