Imposte

Criptovalute e altri token: per il Fisco conta la funzione di «mezzo di scambio»

L'Italia è tra i pochi Paesi che equiparano le cripto alle valute tradizionali. Sul fronte delle regole il decreto del Mef istituisce il registro degli operatori

Le cripto-attività, che fanno leva su tecnologie Dlt (distributed ledger technologies) quale la blockchain, sono in continua evoluzione e vengono utilizzate in numerosi ambiti di quella che è ormai nota come finanza decentralizzata (DeFi), priva di intermediari.

La casistica, che oggi ruota principalmente intorno a criptovalute, token, non fungible token (Nft) e metaverso, è così varia che ogni fenomeno merita una trattazione giuridica e tributaria a sé. Unico tratto comune tra tali fenomeni – almeno nel nostro Paese – è la sostanziale assenza di regolamentazione: circostanza che ovviamente non impedisce di tentare una loro analisi. Il diritto viene prima e va oltre le norme, anche in un potenziale mondo virtuale, ubi societas, ibi ius.

Novità di rilievo, sul fronte regolamentare, è il decreto del Mef 13 gennaio 2022 (Gazzetta ufficiale del 17 febbraio 2022), che istituisce il registro degli operatori in criptovalute con specifici obblighi di registrazione e presenza in Italia per i soggetti esteri e di comunicazione alle autorità italiane. Obblighi che, da un lato, aumenteranno i costi per gli operatori e, dall’altro, renderanno verosimilmente più agevoli e frequenti i controlli, anche sui temi di residenza degli operatori stessi.

La natura delle criptovalute

La finanza decentralizza, esattamente come avvenuto nella finanza tradizionale, rappresenta l’evoluzione delle criptovalute, dalle quali tutto origina. I momenti essenziali della vita delle criptovalute sono la creazione, il “deposito” e lo scambio (con altre valute virtuali, con beni, servizi, Nft oppure con valute aventi corso legale). A ognuno di questi momenti possono essere ricollegate fattispecie che hanno rilevanza tributaria.

Ma la stella polare per la disciplina di questi potenziali momenti impositivi è la natura riconosciuta alle criptovalute. In Italia, ancora oggi, e nonostante la loro evidente a-territorialità, esse sono ritenute dall’agenzia delle Entrate assimilabili alle valute estere (risoluzioni 788/E/2021 e 72/E/2016), circostanza che comporta rilevanti conseguenze fiscali sul trattamento sia ai fini Iva che ai fini delle imposte sui redditi per persone fisiche e giuridiche. L’Agenzia si rifà alla definizione data dal Dlgs 90/2017, che inquadra la valuta virtuale come «rappresentazione digitale di valore» utilizzabile come «mezzo di scambio». L’Agenzia si ispira altresì alla sentenza della Corte di Giustizia del 22 ottobre 2015 (causa C-264/14) dove, in riferimento a un’operazione di conversione bitcoin/valuta legale, nella quale risultava incontroversa la sola funzione di mezzo di pagamento dei bitcoin, la Corte ha inquadrato tale fattispecie come prestazione di servizio a titolo oneroso esente Iva, ex articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/Ce.

Invero, come risulta dallo studio Ocse del 2020 «Taxing virtual currency», solo pochi Paesi equiparano le criptovalute a valute tradizionali (e del resto anche i riferimenti fatti dalle Entrate sembrano tutti a casi in cui è chiara la natura di mezzo di scambio, che però è solo una delle potenziali funzioni delle criptovalute). Più spesso invece si propende, quasi sempre attraverso normative ad hoc, per un inquadramento come beni immateriali o strumenti finanziari.

Il momento impositivo

Tornando ai potenziali eventi tassabili, il primo momento da esaminare è il processo di “mining” (o altre modalità, tipo il “forging”), ovvero la creazione della criptovaluta. Poiché l’Italia non ha una normativa che disciplini l’eventuale tassazione della fase di creazione, riteniamo arduo sostenere che il momento della creazione stessa possa costituire un evento tassabile e ad oggi sembra corretto sostenere che il momento impositivo vada spostato in avanti, all’atto dello scambio.

Ma torniamo alla posizione dell’Agenzia. Dal punto di vista delle imposte dirette, per i soggetti che gestiscono gli scambi, l’equiparazione alle valute tradizionali comporta la tassazione del reddito derivante dall’attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di criptovalute, al netto dei relativi costi inerenti all’attività medesima (tassazione ordinaria d’impresa che sconteranno anche le realtà imprenditoriali che erogano altri servizi che ruotano attorno alle valute virtuali). Per il soggetto persona fisica che invece fa trading su criptovalute, le regole impositive – stando sempre all’agenzia delle Entrate – saranno quelle dei redditi diversi (si veda l’articolo di Nt+ Fisco).

I CASI RISOLTI

LA SITUAZIONE
Il passaggio tra wallet
Un contribuente effettua un passaggio di criptovaluta tra i suoi differenti wallet. Si tratta di una circostanza frequente, specie quando si passa dalla detenzione offline alla detenzione presso una piattaforma exchange. Qual è la rilevanza impositiva del prelievo finalizzato a uno spostamento di token presso un altro wallet?
LA SOLUZIONE
Non si ritiene che tale spostamento possa generare materia imponibile, perché non produce alcuna nuova ricchezza. Tuttavia, in assenza di chiarimenti ufficiali, l’applicazione della lettura delle Entrate, riferita all’articolo 67, comma 1, lettera c-ter Tuir, potrebbe generare rischi di tassazione in corrispondenza di ogni semplice prelievo/passaggio

LA SITUAZIONE

La plusvalenza latente
Un contribuente detiene presso un exchange criptovalute per un valore di 30.000 euro, con una plusvalenza latente di 5.000 euro.
Si quindi interroga sugli obblighi fiscali in Italia ai fini delle imposte dirette, del monitoraggio e dell’Ivafe.
LA SOLUZIONE
Sulla base della posizione delle Entrate, mancando un evento realizzativo come la cessione, non vi sarebbero plusvalenze tassabili ex articolo 67, comma 1, lettera c-ter del Tuir. Inoltre l’Ivafe non risulta dovuta, visto che non si tratta di investimenti in depositi bancari. Andrebbe però compilato il quadro RW della dichiarazione, per il monitoraggio fiscale.

LA SITUAZIONE
La disciplina degli Nft
Un contribuente, titolare di un Nft rappresentativo di un’opera d’arte fisica, chiede quale sia l’attuale regolamentazione esistente per la circolazione dell’Nft stesso.
LA SOLUZIONE

Gli Nft non sono regolamentati e, salvo casi particolari, non paiono rientrare nella proposta di direttiva MiCa. Non significa, però, che non si possano disciplinare i diritti e il loro sfruttamento: con gli smart contract si possono regolare la percezione di royalty, le condizioni per il trasferimento a terzi, le modalità di conservazione del bene fisico sottostante.

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