Adempimenti

Criptovalute e valute estere: l’equiparazione fa ancora discutere

L’assimilazione riaffermata dal Fisco è criticabile sotto vari profili di compatibilità con la normativa Ue ma pone i contribuenti di fronte a una scelta non semplice

di Stefano Capaccioli

La posizione dell’agenzia delle Entrate che equipara le valute virtuali alle valute estere pare pacifica per molti commentatori, in particolar modo per la tassazione dei capital gain (articolo 67 del Tuir). In realtà, un’analisi attenta della normativa può portare a conclusioni diverse, arrivando a evidenziare come questa equiparazione possa apparire frettolosa e non supportata (se non vietata) dalle norme.

Naturalmente, a fronte di una potenziale plusvalenza su valute virtuali occorrerà valutare con attenzione il da farsi nel dialogo tra clienti e professionisti: seguire la tesi del Fisco (e versare le imposte) o non allinearsi (rischiando però contestazioni e contenziosi).

Resta comunque importante esaminare il quadro normativo di partenza. Le norme europee sono contenute nella direttiva (Ue) 843/2018 che definisce (a fini antiriciclaggio) la valuta virtuale quale «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente».

Questa definizione è conforme al parere della Banca centrale europea del 12 ottobre 2016 che sottolinea come le «valute virtuali» non possano qualificarsi come valute dal punto di vista dell’Unione e che ritiene che debbano essere considerate mezzi di scambio piuttosto che mezzi di pagamento, integrando i principi contenuti nella sentenza della Cgue C-264/14 (emessa a fini Iva).

Tali concetti devono necessariamente orientare l’azione dell’interprete che non può prescindere da tali definizioni, nonostante l’introduzione nella normativa antiriciclaggio italiana di una nozione non contenente la frase «non possiede lo status giuridico di valuta o moneta». È da sottolineare che la legge delega (legge 170/2016) sottostante ai decreti legislativi che hanno modificato la legge antiriciclaggio, conferiva solo il potere del mero recepimento della direttiva Ue 849/2015 senza alcuna discrezionalità relativamente alle valute virtuali, con probabile eccesso di delega.

Il sostanziale divieto di avvicinamento delle valute virtuali allo status giuridico di valuta o moneta prevista dalla normativa europea trova peraltro sostegno nel diritto italiano, sia nella genesi della nozione delle valute estere sia per lo stesso diritto tributario.

Il diritto interno prevede una definizione positiva di valute estere, rinvenibile nell’articolo 2 del Dpr 148/1988 (Testo unico valutario) che definisce valute estere solo:

• i biglietti di banca e di Stato esteri aventi corso legale;

• i titoli di credito (…), estinguibili in monete aventi corso legale all’estero o in Ecu;

• i titoli di credito (…) denominati in monete aventi corso legale all’estero o in Ecu;

• i crediti liquidi ed esigibili (…) estinguibili in monete aventi corso legale all’estero o in Ecu (…), collegato le valute estere al corso legale.

L’ultima verifica da effettuare è l’analisi dell’articolo 67 del Tuir (redditi diversi). La categoria «redditi diversi» costituisce, nella tassonomia del Tuir, un elenco chiuso e specifico di proventi, elencati all’articolo 67, per i quali la finalità speculativa è presupposta. L’assenza di una nozione unica è anche chiarita dalla Corte costituzionale nella sentenza 410/1995, la quale sottolinea che «il criterio del fine speculativo delle plusvalenze, ancorché recepito in un primo momento nel Dpr 597 del 1973 (articolo 76), è stato successivamente abbandonato con l’articolo 81 del Dpr 917 del 1986 (…) Ciò significa, pertanto, che per dichiarare tassabile un provento occorre accertare in quale delle ipotesi normative tipiche esso rientri».

Diventa chiaro come le valute estere, stante anche la stratificazione delle norme, sono state rese imponibili nel 1998 (con le varie condizioni nel la lettera c-ter), in vigenza del Dpr 148/1988 e quindi afferiscono esclusivamente a quel concetto, sottolineando che solo le valute estere rivenienti in depositi o conti corrente sono considerabili imponibili.

Da questo appare evidente l’inconciliabilità di qualunque interpretazione, finanche estensiva, che avvicini le valute virtuali alle valute estere.

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