Imposte

Crisi di impresa «divise» sull’Iva

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di Giorgio Gavelli e Gian Paolo Tosoni

Il brusco “ritorno al passato” operato dalla legge di bilancio 2017 in tema di n ote di variazione Iva nell’ambito delle procedure concorsuali , oltre a deludere le (legittime) aspettative delle imprese che avevano dato fiducia alla “promessa” contenuta nella legge n. 208/2015, alimenta ancora più dubbi interpretativi di quelli già in essere in passato. Con il comma 567 della legge n. 232/2016 il legislatore ha operato una vera e propria “restaurazione”, sostanzialmente ripristinando l’articolo 26 del decreto del Presidente dela Repubblica n. 633/72 nella versione precedente a quella della legge di Stabilità 2016 .

La controriforma

Di questo intervento - che non può essere motivato in altro modo se non con una esigenza di gettito per l’erario, purtroppo a danno delle imprese - ha fatto le spese la possibilità di emettere la nota di accredito al momento dell’avvio della procedura concorsuale contrariamente a quanto avviene attualmente e come continuerà ad accadere in futuro, al termine della stessa. La decorrenza della modifica era stata posticipata di un anno (precisamente con riferimento alle procedure dichiarate dopo il 31 dicembre 2016).

Di fatto, quindi, essa non entrerà mai in vigore, con effetti finanziari sulle imprese che è facile immaginare, considerando l’elevato numero di procedure concorsuali che ancora si manifestano. Si continuerà a restare esposti per anni dell’importo di un tributo (di rivalsa) versato ma mai incassato, le cui probabilità di recupero con le procedure sono pressoché nulle; infatti ai fini delle imposte dirette, l’articolo 101 del Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), fa coincidere l’apertura della procedura con la perdita definitiva del credito.

Sono sempre vive le perplessità che si vengono a creare dopo la “controriforma”, alimentate da una norma poco precisa e sin troppo laconica.

L’incertezza

Con il nuovo testo dell’articolo 26 non si comprende quando, in presenza di una procedura, sia possibile emettere la nota di accredito. Certo, ci si può rifare alla prassi precedente dell’agenzia delle Entrate (circolare n. 77/E/2000), implicitamente avvallata dalla Corte di cassazione (sentenza n. 27136/2011), concludendo, ad esempio, che, in caso di fallimento la rettifica opera solo quando la procedura si è rivelata infruttuosa («per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo») e, quindi, sostanzialmente al termine della medesima.

Ma vi sono casi in cui l’interpretazione delle Entrate, oltre che scarsamente condivisibile, si manifesta incompatibile con l’evoluzione della norma.

Infatti, nella stessa circolare n. 77/E/2000 è stato affermato che l’infruttuosità, nel concordato preventivo, si manifesterebbe avendo riguardo non solo «alla sentenza di omologazione (articolo 181) divenuta definitiva», ma anche «al momento in cui il debitore concordatario adempie agli obblighi assunti in sede di concordato».

Piani attestati

Questo slittamento in avanti della possibilità di recuperare l’imposta sul valore aggiunto si presenta tanto più ingiustificato oggi, dopo che, con l’articolo 31 del decreto legislativo n. 175/2014, è stato consentito il recupero (immediato: circolare n. 31/E/2014) in caso di piani attestati o accordi di ristrutturazione, che sulla definitività della perdita in nulla differiscono dal concordato preventivo.

Va anche messa in luce la scomparsa, nel nuovo testo normativo, dell’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, precedentemente prevista al comma 11 ora abrogato. Con la conseguenza che potrebbe tornare d’attualità la presa di posizione dell’agenzia delle Entrate, secondo cui in presenza di tale procedura non sarebbe consentito il recupero dell’imposta sul valore aggiunto sui crediti insoluti, per carenza dei presupposti di cui all’articolo 26 (si veda a questo proposito la circolare n. 77/2000). Ed anche in questo caso, non può non emergere la discrasia con le imposte sui redditi, in cui il decreto che dispone la procedura permette la deduzione della perdita (articolo 101, comma 5, Tuir).

Infine, resta da capire come le novità incideranno sui conti della procedura. L’eliminazione dell’inciso (anch’esso inserito dalla legge n. 208/2015) secondo cui l’obbligo di liquidare a debito la nota di accredito ricevuta non sarebbe applicabile alle procedure concorsuali, potrebbe essere interpretata che, da ora in poi, il passivo fallimentare debba includere anche l’Iva di questi documenti, a svantaggio di tutti i creditori meno privilegiati.

A nostro avviso, ciò non si verifica, sia perché i documenti potranno essere emessi solo ad uno stadio in cui la procedura è giunta al termine, sia perché dovrebbe essere confermata l’irrilevanza affermata in passato dall’agenzia delle Entrate (risoluzioni n. 155/E/2001 e n. 161/E/2001).

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