Dai modelli 231 una spinta alla cooperative compliance
L’aggiornamento richiesto dall’inclusione dei reati fiscali offre la chance del «Tax control framework» (Tfc)
Il modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal decreto legislativo 231/2001, in questi giorni messo alla prova anche dall’emergenza Covid-19, oggi accoglie anche i reati tributari e le aziende stanno procedendo al suo aggiornamento. E infatti con l’introduzione dell’articolo 25-quinquiesdecies nel corpus del Dlgs 231/2001 vengono inclusi tra i reati presupposto che fanno scattare la responsabilità amministrativa degli enti, i reati tributari di maggiore gravità contemplati dal Dlgs 74/2000. Si tratta dei reati di dichiarazione fraudolenta, emissione di fatture per operazioni inesistenti, occultamento o distruzione dei documenti contabili e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.
L’aggiornamento
A questo fine, un efficace aggiornamento del modello 231 presuppone che le imprese effettuino un’indagine all’interno della propria organizzazione per:
● individuare i processi aziendali che possono assumere rilievo con riferimento ai reati tributari;
● individuare le modalità operative e gestionali delle attività a rischio;
● verificare le misure di controllo presenti nelle procedure aziendali;
● effettuare un’analisi comparativa tra le misure di controllo applicate e i protocolli di un idoneo sistema di controllo preventivo, apportando i necessari correttivi.
Per le imprese che stanno aggiornando il modello si profila l’opportunità di valutare l’inizio di un percorso di più ampio respiro, volto alla predisposizione di un sistema di gestione e controllo del rischio fiscale (cosiddetto Tax control framework o Tcf) per prevenire tutti i rischi cui l’impresa è esposta (e non, quindi, solo quelli penalmente rilevanti), ivi inclusi peraltro quelli relativi al corretto adempimento degli obblighi tributari e alla continuità aziendale di cui si discute in questi giorni di lockdown per tante attività.
Il Tax control framework
Il Tcf ha assunto notorietà grazie all’istituto della cooperative compliance, introdotto con il Dlgs 128/2015, che consente ai contribuenti di rilevanti dimensioni di accedere a un canale privilegiato di interlocuzione con l’agenzia delle Entrate. Chi aderisce alla cooperative compliance deve aver adottato un Tcf.
La convenienza di dotarsi di un Tcf non è tuttavia limitata alle grandissime imprese, posto che esistono vantaggi anche a prescindere dalla possibilità di accedere alla cooperative compliance. Da un lato, il percorso che conduce all’adozione di un efficace Tcf consente l’ottimizzazione dei processi aziendali;dall’altro, un corretto funzionamento del Tcf comporta la riduzione del rischio di incorrere in passività fiscali non previste, con un conseguente risparmio di costi e creazione di valore per gli azionisti, anche in termini di buona reputazione dell’azienda.
Non va inoltre dimenticato che il legislatore ha previsto un abbassamento delle soglie dimensionali per accedere all’istituto della cooperative. Anzi, la fase di prima applicazione dell’istituto è scaduta il 31 dicembre 2019 e la platea delle società ammesse dovrebbe già accogliere quelle con un fatturato superiore ai 100 milioni (più di 3mila soggetti, numero radicalmente diverso dalle attuali 41 società in regime di cooperative).
In attesa del decreto
L’abbassamento della soglia, tuttavia, con uno dei frequenti e poco felici rimandi alla normazione secondaria, viene di fatto subordinato all’adozione di un decreto del Mef attualmente in fase di lavorazione che dovrebbe individuare le modalità di questa apertura.
L’auspicio è che si colga l’occasione per rendere più efficiente e snello il contraddittorio all’interno del regime (l’aumento della platea sembra imporre modelli precompilati, automatismi telematici, maggiore autonomia della struttura dell’Agenzia deputata alla gestione della cooperative e una risoluzione più efficiente di eventuali disaccordi, magari affidandosi a un collegio arbitrale) e cercare di fornire maggiori garanzie sotto il profilo penale.
L’aggiornamento del modello 231 potrebbe quindi effettivamente tradursi nel primo passo di un percorso per la predisposizione di un Tcf eventualmente anche nella futura prospettiva di accedere alla cooperative. Potrebbe trattarsi di un processo per fasi, per esempio partendo dall’analisi dei processi aziendali più rilevanti. Del resto, in un contesto dove il sistema sanzionatorio penale-tributario si inasprisce , l’adozione di un Tcf sembra un’opzione da non sottovalutare.
L’identikit
1. Reari tributari e 231
Il modello 231, destinato alla prevenzione dei rischi e dei reati all'interno dell'azienda, oggi alla prova anche dell'emergenza Covid 19, deve accogliere anche i reati tributari.
2. I reati nel modello
La dichiarazione fraudolenta (articoli 2 e 3 dlgs 74/2000); emissione di fatture per operazioni inesistenti (articolo 8); occultamento o distruzione dei documenti contabili (articolo 10); sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (articolo 11).
3. Collegamento con il Tcf
L'aggiornamento del modello è opportuno che si ispiri alle logiche del Tax Control Framework e quindi individui i processi aziendali interessati, le procedure in essere e la loro adeguatezza rispetto ad un idoneo sistema di controllo.
4. Cooperative compliance con platea allargata
Il regime di Cooperative compliance dovrebbe essere pronto ad accogliere tutte le società con un fatturato superiore ai 100 milioni (più di 3mila soggetti). Per questo sono necessarie modifiche per semplificare il regime oltre che ovviamente il decreto del Mef al quale è nei fatti subordinata la possibilità di ampliare la platea degli aderenti.
Antonio Iorio
Dossier e monografieLuigi Fruscione
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