Controlli e liti

Dal super algoritmo del Fisco inviti alla compliance o controlli

All’interessato converrà rinviare le osservazioni al momento successivo all’emissione dell’atto. Auspicabile che le anomalie siano sempre riscontrate dai verificatori

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

In attesa di conoscere maggiori dettagli sulle analisi di rischio che verranno eseguite dall’amministrazione finanziaria, e quindi sugli algoritmi idonei a individuare potenziali evasori, la lettura del decreto del ministero dell’Economia sull’anonimometro fornisce qualche spunto per tentare l’inquadramento del percorso di compliance/controllo che seguirà l’individuazione di posizioni meritevoli di approfondimento.

Il decreto sembra, infatti, operare un distinguo sull’attività da svolgere all’esito dell’analisi. Sin dalle definizioni si fa infatti riferimento (è il caso del «dataset di controllo») all’insieme delle posizioni fiscali dei contribuenti, caratterizzate dalla ricorrenza di uno o più rischi fiscali, nei confronti dei quali potranno essere avviate: 1) le attività di controllo, ovvero 2) le attività volte a stimolare l’adempimento spontaneo.

Circa la sollecitazione all’adempimento spontaneo appare verosimile che si tratti, in buona sostanza, delle già note comunicazioni cosiddette «di compliance» con le quali, segnalate talune anomalie o presunte tali, si invita l’interessato a regolarizzare la propria posizione onde evitare conseguenze più gravose.

Si tratta invece di comprendere cosa debba essere inclusa nella generica «attività di controllo» e non per una questione letterale, ma per le ovvie e concrete implicazioni che potrebbero derivarne. Si pone il dubbio, cioè, se la presenza di indici di rischio costituisca l’input per un successivo approfondimento nei confronti dell’interessato (anche mediante un controllo) o se, addirittura, possa determinare direttamente l’emissione di un atto impositivo.

Ciò in quanto il decreto prevede una differente tempistica per l’esercizio del diritto di accesso ai dati, includendo anche il caso di notifica del provvedimento impositivo, quasi a lasciare intendere che possa astrattamente sussistere la possibilità di atto impositivo non preceduto da attività istruttorie prodromiche (richieste, questionari, pvc eccetera).

Ovviamente l’auspicio è che prima dell’emissione dell’atto le anomalie emerse in sede di analisi vengano in qualche in via preventiva e concretamente riscontrate dai verificatori.

Appare verosimile che il contribuente raggiunto da una comunicazione di compliance, ovvero da altra attività di controllo, abbia la necessità di acquisire i dati posti a base dell’anomalia, onde verificare, quanto meno, se siano stati correttamente interpretati/valutati in sede di elaborazione.

Va da sé che nella lettera di compliance tali informazioni potranno essere solo enunciate o sintetizzate, ma l’atto impositivo basato su tali anomalie dovrà invece entrare nel dettaglio dell’elaborazione e spiegarle, altrimenti l’interessato difficilmente potrà difendersi.

È verosimile che il comportamento “difensivo” del contribuente, interessato da comunicazione/attività di controllo, dipenderà dal concreto atteggiamento che sarà tenuto dagli uffici dell’Agenzia e della Guardia di Finanza.

Se infatti gli uffici, al di là dei buoni propositi contenuti nelle comunicazioni e direttive ufficiali, riterranno “indiscutibili” gli esiti delle elaborazioni o comunque che la selezione del contribuente debba sempre comportare una qualsivoglia contestazione (al pari di quanto è avvenuto in questi anni in molti casi in presenza di controlli scaturiti da elaborazioni statistiche) all’interessato non converrà – ricevuta una lettera di compliance o una richiesta istruttoria – rappresentare eventuali errori/anomalie del caso, rinviando il tutto dopo l’emissione dell’atto impositivo.

In un simile contesto, infatti, il rischio potrebbe essere che l’Ufficio utilizzi tali spiegazioni, non in un’ottica di espungere contestazioni poco sostenibili, ma per motivare meglio il successivo atto impositivo contro il contribuente.

L’auspicio, sotto questo profilo, è che a fronte di una così importante rivoluzione nel contrasto selettivo all’evasione fiscale, vi sia anche un nuovo approccio da parte degli addetti ai controlli. Senza un mutato atteggiamento dei controllori, questo nuovo potentissimo strumento potrebbe avere la stessa sorte (poco incisiva) di tutti i numerosi provvedimenti che, da decenni, sembrano decisivi nel contrasto all’evasione, ma si rivelano poi puntualmente degli automatismi poco efficaci.

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