Imposte

Dall’addio al vecchio patent box un freno agli investimenti esteri

La nuova deduzione è alternativa al credito ricerca e. Si rischia la cancellazione retroattiva con lo stop all’opzione

di Alessandro Germani

L’introduzione del nuovo patent box (articolo 6 del Dl 146/21) manda in soffitta la vecchia misura sostituendola con una nuova che non appare altrettanto attraente.

Il patent box è stato introdotto nel nostro sistema con la legge 190/2014 allo scopo di agevolare alcuni intangibili e favorire gli investimenti esteri in Italia, al pari di quanto fanno gli altri Paesi, attraverso una misura fortemente attrattiva. Da principio l’agevolazione si è rivolta per lo più ai marchi, vista la maggior facilità di inquadrare gli stessi come intangibili in grado di generare un sovrareddito aziendale rispetto agli altri immateriali (quali software, brevetti, know how). Poi ciò ha dovuto fare i conti con l’incompatibilità a livello comunitario e i marchi sono usciti di scena. Con il Dl 34/19 è stata introdotta anche l’opzione «fai da te» per semplificare la fruizione dell’agevolazione, prevedendo che il calcolo potesse essere effettuato direttamente dal contribuente accedendo a una documentazione di “patent protection” che fosse in grado di salvaguardare l’impresa ex post in fase di controllo, alla stregua di quanto avviene nella disciplina del transfer pricing.

Questa agevolazione ha presentato luci e ombre. Indubbiamente il meccanismo di conteggio del contributo economico riveniente dall’intangible da agevolare ha comportato talora risultati di defiscalizzazione importanti, per di più su cinque anni. Ma si è trattato di conteggi non banali, dovendosi determinare l’apporto della funzione di produzione, di quella distributiva e per differenza, il contributo economico residuo dell’intangible attraverso metodi tipici dell’esperienza del transfer pricing, quali il residual profit split. Tutto ciò è stato complicato anche dal fatto che in molti casi la procedura di ruling era obbligatoria (in altri facoltativa, solo talvolta esclusa, come nel caso di utilizzo indiretto, tipico del software concesso in licenza in grado di generare delle royalties), con un confronto con l’Agenzia che non si può definire agevole. Ci sono stati infatti ritardi importanti se consideriamo che il quinquennio 2016-2020 è ancora in corso di definizione e questo, in una logica di rapporto adeguato fra fisco e contribuente, sembra paradossale, se pensiamo che siamo alla fine del 2021 e si stanno chiudendo accordi su un quinquennio interamente trascorso. Il bilancio è stato dunque quello di un’agevolazione complessa, con un’evidente difficoltà dell’Agenzia nello smaltire i contraddittori. Ma è pur vero che in molti casi, soprattutto per il quinquennio 2015-2019, l’agevolazione ha dato delle buone soddisfazioni al contribuente.

Ora la stessa, per come è stata conosciuta sia nella modalità classica sia in quella «fai da te», che avrebbe dovuto evitare le lungaggini del contraddittorio mediante un controllo ex post reso più agevole dalla predisposizione facoltativa della documentazione, viene del tutto accantonata.

La norma dell’articolo 6 è rubricata «semplificazione del patent box», ma questo non sembra corrispondere al vero o comunque appare riduttivo. Nella relazione illustrativa si afferma che «si introduce una nuova norma, volta ad agevolare i costi di ricerca e sviluppo con l’obiettivo di semplificare e rendere più celere la fruizione del beneficio da parte del contribuente». In realtà la misura viene completamente stravolta. Al posto del conteggio del contributo economico, si ottiene una detassazione, sì importante, in quanto pari al 90% dei costi sostenuti per ricerca e sviluppo, tanto a livello Ires quanto Irap. E presa in valore assoluto tale detassazione può sembrare anche interessante, ma se si considera il fatto che agisce sui (soli) costi mentre la precedente andava ad individuare (e poi a detassare) l’Ebit derivante dal particolare intangible agevolato, tale misura appare riduttiva. Tanto più se si considera che prima si aveva a disposizione l’accoppiata patent box – credito d’imposta da ricerca e sviluppo, anche se ad onor del vero la ricerca e sviluppo, considerata nei contraddittori un Ip non agevolato, andava a decurtare il contributo economico finale.

Adesso invece la misura, che insiste appunto sui costi di ricerca e sviluppo, è alternativa al credito d’imposta della legge 160/19. Come dire uno (adesso) al posto di due (prima). Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che il vecchio patent box è stato cancellato prima di dare la possibilità di optare in dichiarazione per tale agevolazione (entro il 30 novembre) per il 2020, ce ne è abbastanza per poter dire che manovre del genere non sembrano agevolare gli investimenti esteri in Italia.

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