Contabilità

Deducibilità sulla svalutazione crediti, la cassazione ribadisce i limiti

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di Nicolino Monaco*

Il limite fissato alla deducibilità della svalutazione dei crediti dall'articolo 106, comma 1, del Tuir è il tema affrontato dalla Cassazione nella recente sentenza n. 13458/2015.

La norma
La norma delinea due limiti da rispettare nel calcolo della deducibilità spettante relativa agli accantonamenti e alle svalutazioni per rischi su crediti effettuati in base ai principi contabili: questi sono deducibili nell'esercizio, nel limite dello 0,50% del valore nominale o di acquisizione dei crediti iscritti in bilancio. L'ultimo periodo dello stesso comma, poi, impedisce tale possibilità quando l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti abbia raggiunto il 5% dei crediti sempre iscritti in bilancio.
Il contenzioso oggetto della pronuncia vede l'amministrazione contestare un maggior reddito, derivante anche da deduzioni non spettanti per accantonamenti al fondo svalutazione crediti, ritenendo che il tono letterale del disposto dei commi 1 e 2 non può che considerare l'importo limite del 5% dei crediti da raffrontare con il fondo complessivo (cioè quello tassato e quello articolo 106) e non solo con l'ammontare del fondo non tassato come, invece, fatto dalla società.

Il merito
Nel merito, i giudici sembrerebbero stravolgere quanto finora consolidato dalla prassi procedurale, ovvero, ripercorrendo un excursus normativo civilistico, rapportato poi alla norma fiscale, accolgono la tesi dell'Agenzia. La stessa tesi, peraltro, risulta in contrasto con quanto affermato precedentemente sia con la circolare 26/E/2013, sia con le istruzioni del modello UNICO SC 2015, ove sembrerebbe consentito il calcolo del plafond del 5% in riferimento ai valori fiscali (fondo dedotto) e non a quelli civili (fondo complessivo), il che consegue, appunto, una più certa capienza.
In sostanza, afferma la Cassazione, il raggiungimento del limite del 5% impedisce il sorgere (e quindi la spettanza) del diritto di deduzione concesso dalla norma, che risulterebbe non più ammesso. La deduzione dello 0,50% è la mera misura ammessa - solo se spettante - se non superato, appunto, il plafond calcolato sul valore nominale o di acquisizione dei crediti. La spettanza (limite del 5%), pertanto, circoscrive il vincolo necessario al diritto della deduzione e solo se rispettato, successivamente, andrà calcolata l'entità della deduzione nella misura dello 0,50 per cento.
L'ammontare da confrontare, proseguono i giudici, si riferisce unicamente ed esclusivamente «alla quantità numerica indicata nella voce B) 10 d) svalutazioni dei crediti del conto economico» e non ai valori fiscali; la conclusione è riferita all'aggettivo complessivo dell'ultimo periodo del primo comma, essendo evidente, ribadiscono, «il riferimento logico, oltre che testuale, all'ammontare - e solo a questo - delle svalutazioni e degli accantonamenti», precisando che, non facendo cenno a uno specifico fondo fiscale, ai fini della norma, gli accantonamenti debbono essere considerati e calcolati indissolubilmente insieme.

Conclusioni
Secondo questa sentenza, che crea evidentemente un precedente, una volta che l'accantonamento civilistico raggiunge il 5% per cento dei crediti iscritti in bilancio, in base al comma 1 dell'articolo 106, il diritto alla deduzione è escluso a prescindere, per il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte.
La questione rilevante, in sintesi, è l'individuazione della cifra da raffrontare al totale crediti che, stando alla presente sentenza, è costituita dall'accantonamento complessivo risultante in bilancio (voce B) 10 d)). Superato il limite del 5% dei crediti, solo per tale fatto, il diritto alla deduzione in merito sarebbe impedito.

* Laboratorio di scrittura - XX Master tributario

Cassazione - Sezione Tributaria - Sentenza n. 13458 /2015

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