Controlli e liti

Dichiarazioni infedeli, calcolo sanzioni solo sul credito usato impropriamente

di Dario Deotto

Una delle problematiche che stanno emergendo dai quesiti posti per Telefisco è quella – anche nell’ottica del ravvedimento operoso – della sanzione per infedele dichiarazione, qualora quest’ultima abbia “chiuso” a credito.

Per effetto delle modifiche apportate dal Dlgs 158/2015, la sanzione per infedele dichiarazione risulta (ordinariamente) dal 90 al 180% dell’imposta dovuta o della «differenza del credito utilizzato». In precedenza la norma prevedeva, invece, che la penalità venisse determinata sulla «differenza del credito». Si tratta, indubbiamente, di una modifica favorevole al contribuente, ma foriera di una serie di interrogativi.

Occorre in primo luogo rilevare che l’eventuale utilizzo del credito può essere avvenuto tanto in compensazione “esterna” quanto in compensazione “interna”. Si ritiene, inoltre, che il concetto di “credito utilizzato” debba essere esteso anche all’eventuale “credito rimborsato”, nonostante solamente l’articolo 5, comma 4, del Dlgs 471/1997, in materia di infedeltà dichiarative Iva, menzioni l’eccedenza peraltro “rimborsabile” (fattispecie comunque diversa da quella prevista dal comma 5 dello stesso articolo 5, disciplinante la penalità del 30% sull’ammontare del credito effettivamente rimborsato nell’ipotesi in cui venga chiesto il rimborso in assenza dei requisiti di legge).

Una prima problematica si configura quando il credito non risulta in alcun modo utilizzato. Si supponga il caso di un soggetto che presenti la dichiarazione relativa all’anno X riportante un credito per 1.000 e che anche le dichiarazioni successive risultino sempre a credito. Il credito di 1.000 non è stato in alcun modo utilizzato nemmeno negli anni successivi. Si ponga ora il caso che l’Agenzia proceda ad accertare l’infedeltà della dichiarazione relativa all’annualità X, che porti a determinare un’imposta a debito di 200. In questo caso, la sanzione potrà essere applicata solamente su 200, mentre, non essendo stato utilizzato il credito di 1.000, su quest’ultimo importo non potrà essere irrogata alcuna penalità (non può assolutamente trovare applicazione la sanzione per dichiarazione irregolare – ai sensi dell’articolo 8 del Dlgs 471/1997 – che verrebbe “assorbita” da quella dell’infedeltà).

Va peraltro considerato che nel caso di infedeltà dichiarativa determinante un minore credito non utilizzato non può, evidentemente, trovare applicazione nemmeno l’aumento della metà stabilito per le ipotesi riconducibili a condotte fraudolente. E questo risulta un paradosso visto che tali condotte riguardano spesso soggetti che risultano cronicamente (e fittiziamente) a credito.

Ulteriori problematiche attengono poi alla “latitudine” dell’eventuale utilizzo. Non vi è dubbio che se, ad esempio, la dichiarazione originaria ha riportato un credito di 1.000 euro e questo è stato interamente utilizzato in compensazione, se successivamente, per effetto dell’accertamento di un’infedeltà dichiarativa, il credito viene rideterminato a 200, la sanzione dell’infedeltà dichiarativa dovrà essere commisurata su 800, che risulta senz’altro la differenza del credito “utilizzato”.

Si supponga, però, che, sempre con riferimento alla dichiarazione che ha chiuso originariamente con un credito di 1.000, il credito sia stato utilizzato invece per 300 e l’infedeltà dichiarativa porti anche in questo caso alla rideterminazione del credito in misura pari a 200. In questa ipotesi si tratta di comprendere se la penalità relativa all’infedeltà dichiarativa debba essere rapportata a 300 oppure a 100.

Si è dell’avviso che la sanzione debba essere rapportata a 100, considerando che, dei 300 del credito utilizzato, 200 erano comunque “spendibili”. In altri termini, si ritiene che quando la norma fa riferimento all’utilizzo del credito, si riferisca all’”improprio” utilizzo dello stesso (cosa diversa dall’utilizzo “indebito” in compensazione del credito).

Esempi di credito usato impropriamente

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