Imposte

Dimissioni anticipate, tassazione separata per l’incentivo al dipendente

Secondo la Cassazione le somme corrisposte per l’uscita del lavoratore sono soggette all’imposta sostitutiva

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di Alessandro Borgoglio

Le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente costituiscono redditi di lavoro dipendente soggetti a tassazione separata. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 3264/2020.

In base all’articolo 17, comma 1, lettera a), del Tuir, l’imposta si applica separatamente sul trattamento di fine rapporto e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, nonché sulle altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza, nonché le somme e i valori comunque percepiti al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

I giudici di legittimità, con la pronuncia odierna, confermativa di precedenti arresti, hanno stabilito che le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente, costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di rimunerare il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto, in funzione del ristoro di un lucro cessante, e pertanto le stesse sono assoggettate alla tassazione separata alla stregua delle «altre indennità e somme» ex articolo 17, percepite una tantum in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro (si veda Cassazione 13777/2013).

Nel caso oggetto dell’ordinanza qui commentata, una banca aveva operato delle trattenute sul Tfr e sull’incentivo all'esodo corrisposto a un dipendente; quest’ultimo aveva chiesto un rimborso, in quanto sarebbero state operate delle ritenute superiori a quelle dovute applicando l’agevolazione in vigore fino al 2006, che prevedeva la tassazione separata con aliquota ridotta alla metà sugli incentivi all'esodo dei lavoratori con determinati requisiti anagrafici.

La Cassazione ha stabilito, innanzitutto, che, trattandosi di istanza di rimborso, non v’è dubbio che è il lavoratore tenuto a dimostrare, mediante idonea documentazione, che l’erogazione del contributo è avvenuta a titolo di incentivo all’esodo (si veda Cassazione 21770/2018), ed è dovere del giudice di merito quello di verificare la sufficienza della documentazione prodotta a sostegno delle ragioni creditorie (da rimborso) allegate dal contribuente, con un giudizio di merito che, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (si veda Cassazione 23696/2007).

I giudici di merito, invece, nel caso qui esaminato, non avevano verificato, in base agli elementi di prova che il contribuente aveva l’onere di allegare per fondare l’istanza di rimborso, se l’imposta fosse stata indebitamente trattenuta dall’Amministrazione erariale, differenziando e quantificando, a tal fine, le somme corrisposte dal datore di lavoro a titolo di incentivo all'esodo, soggette a tassazione separata ridotta, e quelle corrisposte a titolo di Tfr, invece soggette a tassazione separata ordinaria; da qui il rinvio alla Ctr.

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