Controlli e liti

Disclosure contante per favorire gli investimenti

di Maurizio Leo

Le ultime notizie sull’andamento dell’economia inducono a un sostanziale, anche se moderato, ottimismo. È tempo, quindi, di pensare a efficaci politiche che accompagnino la ripresa e, quantomeno in parte, la stimolino. Ciò malgrado quel piccolo dettaglio delle scarse risorse a disposizione. Si tratta di un problema che va affrontato con un mix di visione strategica e realismo per trovare strade alternative, ma efficaci, per il recupero del gettito.

La voluntary disclosure-bis non ha dato i risultati sperati per diversi motivi, tra i quali la scarsa attrattività per chi avesse disponibilità in contanti da regolarizzare. In tali casi, infatti, ragioni tecniche avrebbero determinato una applicazione pressoché generalizzata della presunzione di redditività, in considerazione della sostanziale impossibilità di dimostrare l’eventuale formazione delle disponibilità in anni non più accertabili. Se si pensa che si rischia di pagare per la regolarizzazione oltre il 50% delle disponibilità liquide, si comprende lo scarso appeal della sanatoria appena conclusa. Ed è anche per questo che si stima in 150/200 miliardi di euro il contante illegittimamente nascosto in cassette di sicurezza o materassi vari. Si è quindi cominciato a parlare, non a torto, di una qualche politica tesa a fare emergere le disponibilità liquide.

Il procuratore capo della Repubblica di Milano, Francesco Greco, ha recentemente ipotizzato una possibile soluzione normativa: prima, una norma che incentivi la disclosure del contante e, poi, un utilizzo delle disponibilità emerse, con l’acquisto obbligato di titoli del debito pubblico senza rendimento. Ecco questa mi sembra certamente una buona idea, che merita forse qualche ulteriore riflessione.

Va premesso che, nel caso dei contanti, qualunque strategia di emersione non può che tenere conto della caratteristica del bene da regolarizzare, rispetto al quale, come detto, è sostanzialmente impossibile individuare il periodo d’imposta di “formazione” della ricchezza. È per questo motivo che potrebbe essere prevista una “aliquota flat” per effettuare la regolarizzazione. Insomma non è la volontà “condonistica” di stimolare l’emersione, quanto la impossibilità di definire analiticamente le imposte da versare a giustificare l’applicazione di un’aliquota fissa, oltre che ridotta, in sede di sanatoria. Detto questo, è certamente interessante l’idea di un utilizzo vincolato di queste disponibilità, che rappresenti, in una prospettiva più ampia, una sorta di sanzione accessoria.

Credo, però, che sia possibile immaginare anche una alternativa rispetto all’acquisto obbligato di titoli del debito pubblico a rendimento zero. Si potrebbe, infatti, consentire al contribuente anche di acquistare uno strumento finanziario innovativo come i Pir, magari elevandone i tetti di accesso. In questo caso, però, anche in considerazione del diverso e più elevato profilo di rischio, sarebbe necessario consentire di ottenere un rendimento. Un rendimento che, tuttavia, diversamente dalla disciplina in vigore, non sarebbe esentato, ma sottoposto a imposizione piena. Una soluzione di questo tipo consentirebbe a queste risorse di affluire, almeno in parte, a imprese di piccole e medie dimensioni per sostenerne i piani di sviluppo. L’effetto sull’economia reale sarebbe immediato e ampio: si trasformerebbero i contanti, oggi chiusi nelle cassette di sicurezza o nascosti sotto i materassi, in finanziamenti alle Pmi, a condizione che le stesse li utilizzino per investire e soprattutto per assumere.

In ogni caso, la disclosure del contante si giustificherebbe solo in una prospettiva più ampia e strategica, perché l’obiettivo finale non può che essere una diffusa tracciabilità finanziaria. Ad esempio, un’idea su cui lavorare potrebbe essere quella di attribuire ai titolari di redditi da pensione maggiori risorse, subordinatamente all’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili. Le risorse potrebbero venire proprio dalla tassazione di quei rendimenti garantiti dall’investimento nei Pir del contante ormai sanato. Insomma, questa misura si porrebbe come il primo passo per una più moderna politica di contrasto all’evasione che passi, prima di tutto, da un minore ricorso al contante e a una più diffusa cultura per l’utilizzo di mezzi di pagamento verificabili.

È evidente che si tratta di una misura delicata, ma è altrettanto evidente che essa è ispirata da un sano realismo. C’era qualcuno che diceva: «Il pessimista si lamenta del vento, l’ottimista aspetta che cambi; il realista aggiusta le vele». Ecco, forse è tempo di aggiustare le vele.

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