Doppia imposizione, credito di imposta per i redditi prodotti all’estero con restrizioni
Il riconoscimento di un credito d’imposta per i redditi prodotti e tassati all’estero a titolo definitivo, previsto dalle disposizioni domestiche per compensare i fenomeni fiscali di doppia imposizione, “non coperti” dalle convenzioni all’uopo stipulate dall’Italia con i paesi esteri, è legittimo solo se la richiesta di rimborso delle imposte pagate all’estero dà evidenza della modalità di determinazione del credito d’imposta mediante la rappresentazione delle medesime operazioni prescritte in sede di dichiarazione, con l’indicazione della quota d’imposta italiana versata in più per effetto della mancata esposizione del credito d’imposta estero; in sostanza l’importo chiesto a rimborso non può essere sganciato dall’eventuale imposta netta pagata in Italia. Questo il principio che emerge dalla sentenza della Ctp Milano n. 1814/2018 depositata il 23 aprile.
Il focus della controversia finita all’attenzione dei giudici tributari milanesi riguardava il silenzio rifiuto dell’amministrazione finanziaria su un’istanza di rimborso presentata da una società per un credito Ires derivante da imposte pagate all’estero.
La contribuente, a fondamento del diritto al rimborso, evidenziava come avesse già scontato un’imposizione a titolo definitivo in due paesi esteri per i redditi ivi prodotti e che gli stessi erano stati ulteriormente tassati in Italia in sede di dichiarazione, così configurandosi un fenomeno di doppia imposizione; all’uopo allegava al ricorso documenti e ricevute che, a suo dire, attestavano l’avvenuto assoggettamento ad imposte dirette, a titolo definitivo, all’estero.
L’ufficio deduceva in particolare la carenza e l’inadeguatezza della documentazione prodotta dalla società per provare sia l’ammontare dei redditi prodotti all’estero che il versamento delle imposte ivi pagate a titolo definitivo, oltre che l’ammontare del credito spettante e calcolato con le modalità previste dalla norma domestica (articolo 165 Tuir) : la copia delle dichiarazioni estere, le ricevute di versamento delle imposte pagate all’estero, la certificazione rilasciata dall’autorità fiscale estera , l’eventuale richiesta di rimborso qualora non inserita in dichiarazione.
Preliminarmente ed in punto di diritto i giudici richiamano le disposizioni della norma di riferimento (articolo 165 Tuir commi 1 e 3) la cui conseguenza è che «con l’istanza di rimborso occorre dare evidenza delle modalità di determinazione del credito d’imposta mediante la rappresentazione delle medesime operazioni prescritte in sede di dichiarazione, con l’indicazione della quota d’imposta italiana versata in più per effetto della mancata esposizione del credito d’imposta estero».
Il dato del rimborso, chiosa il collegio, non può essere sganciato da quello dell’eventuale imposta netta pagata in Italia, operando , in tal caso, l’istituto del credito d’imposta con le seguenti limitazioni:
•se l’imposta estera, rispetto a quella domestica, è inferiore si dovrà versare la differenza;
•se superiore non si dà luogo a restituzione dell’eccedenza in quanto il credito compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.
Individuata la norma applicabile al caso di specie gli interpreti focalizzano l’iter motivazionale su quelle che sono le condizioni per utilizzare il credito per le imposte pagate all’estero:
•i redditi cui le imposte afferiscono devono essere stati oggetto di dichiarazione già presentate alle autorità fiscali estere;
•le imposte devono essere state versate prima del termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia;
•le imposte devono essere definitive, ovvero non devono poter essere oggetto di rimborso totale o parziale.
Proprio la riscontrata carente documentazione , in ossequio ai presupposti sopra richiamati e necessari per il riconoscimento del diritto al credito d’imposta, è la motivazione principale che porta i giudici lombardi a negare tale diritto alla ricorrente, legittimando l’operato dell’amministrazione finanziaria.