Elusione, al posto dell’inopponibilità va recuperato il vantaggio indebito
Spesso le Entrate fanno venire meno anche gli effetti giuridici degli atti. L’equivoco deriva dal fatto che si ignora la validità delle transazioni tra le parti
La non opponibilità al Fisco delle operazioni ritenute elusive determina non pochi equivoci. In base all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, le operazioni prive di sostanza economica che realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti «non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi».
L’inopponibilità risulta un retaggio delle prime disposizioni antielusive tedesche – risalenti addirittura al 1919 e aventi come riferimento la «sostanza economica dell’affare» – che le norme italiane hanno sempre ricopiato. In pratica, attraverso l’istituto dell’inopponibilità, gli atti compiuti dal contribuente vengono considerati inefficaci nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Il tema è, quindi, quello dell’inefficacia relativa, la quale, tuttavia, incontra non poche difficoltà applicative nella materia tributaria.
Occorre partire dal fatto che, evidentemente, ai fini della determinazione dei tributi, quando si è in presenza di vicende simulatorie risulta irrilevante l’«apparenza negoziale» mentre ciò che rileva – per l’Amministrazione (e per i giudici) - è l’assetto dissimulato. Parimenti, sempre il Fisco può qualificare diversamente un contratto quando l’errore di qualificazione emerge dalle clausole contrattuali: ad esempio, un contratto di comodato che prevede un corrispettivo dovrà necessariamente essere adeguato al tipo legale corrispondente (contratto di vendita).
Ma un conto è qualificare diversamente la “sostanza giuridica” dei contratti, altro è considerarli inefficaci fiscalmente e, addirittura, trasformarli (da parte della stessa amministrazione) in altre forme giuridiche (più onerose) sulla base della sostanza economica.
Non è un caso che la non opponibilità al Fisco dei negozi sia stata introdotta in Germania nel secolo scorso, quando veniva consentito all’Amministrazione di ricorrere a giudizi di equiparazione basati sul risultato economico. Il fatto è che in Italia – nonostante il diverso pensiero della Cassazione – non rilevano affatto gli effetti economici delle attività negoziali, nel senso che l’obbligo di corrispondere l’imposta è collegato generalmente al fatto giuridicamente qualificato e non alla realizzazione di determinati effetti economici, se non quando la norma lo dispone espressamente. Oltre a ciò, occorre ricordare che in Italia è stato riconosciuto che esistono più forme giuridiche – tutte legittime – per conseguire il medesimo effetto sostanziale e che il contribuente può scegliere la via fiscalmente meno onerosa.
Gli esempi
Si pensi, a questo punto, a quanto accadde con la risoluzione 84/E/2013, con la quale venne ritenuta elusiva una trasformazione da società di capitali in società semplice. In conseguenza dell’inopponibilità, l’Agenzia rilevò che la società semplice doveva versare l’Ires come società di capitali e presentare il modello previsto per queste ultime società.
Si prenda anche il caso alla risoluzione 99/E/2017 in cui una società risultava intestataria di un immobile che utilizzava direttamente e che voleva assegnare (in maniera agevolata) ai soci. La società intendeva: 1) conferire l’azienda in una newco costituita dagli stessi soci della società conferente; 2) concedere in locazione l’immobile alla stessa newco; 3) assegnare l’immobile ai soci; 4) sciogliersi e assegnare ai soci la partecipazione nella newco. Secondo la risoluzione, si tratta(va) di abuso del diritto. Quindi, tutta la sequenza delle operazioni risulta inefficace per l’Agenzia. Per cui, se le operazioni sono state poste in essere, l’immobile sotto il profilo fiscale risulterebbe, per assurdo, ancora in capo alla società conferente, che tuttavia non esiste più.
Si pensi ancora ai tanti casi in cui le sequenze negoziali che contemplano anche l’affrancamento delle partecipazioni e il trasferimento delle stesse sono stati considerati recesso. Ad esempio, nella risposta a interpello 341/2019, la riorganizzazione prospettata – costituzione di una newco, cessione alla stessa di partecipazioni rivalutate e successiva fusione inversa – è stata reputata recesso. Quindi tutta la sequenza – tra cui la costituzione della newco e la fusione inversa – si ha come non avvenuta fiscalmente.
È evidente l’equivoco di fondo: nell’abuso del diritto le operazioni poste in essere sono perfettamente valide tra le parti e i terzi, Amministrazione finanziaria compresa. Sicché è solo lo specifico vantaggio fiscale indebito conseguito che deve essere disconosciuto, non le forme giuridiche “sottostanti”.