Controlli e liti

Esclusione dagli appalti, lo stato della lite influenza il debito da estinguere

Occorre comprendere cosa sia necessario pagare (a rate in modo vincolante o in unica soluzione) per evitare l’estromissione dalla gara

di Antonio Iorio

La nuova causa di esclusione dalle gare pubbliche riguarda le ipotesi in cui la stazione appaltante sia a conoscenza e possa dimostrare che il concorrente non abbia ottemperato al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali anche se non definitivamente accertati.

La previsione non trova applicazione se l’impresa abbia pagato o si sia impegnata in modo vincolante a pagare quanto dovuto o quando il debito tributario sia comunque estinto. Il tutto deve perfezionarsi prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande.

Trattandosi di debito tributario non definitivamente accertato, si è di fronte a un atto che, alternativamente:

Oè ancora suscettibile di impugnazione, non essendo scaduti i termini;

Oè già oggetto di contenzioso, ed eventualmente di una sentenza non definitiva.

Occorre comprendere, a questo punto, cosa sia necessario pagare (a rate in modo vincolante o in unica soluzione) per evitare l’esclusione dalla gara. La norma fa riferimento all’estinzione del debito tributario ma, vista la non definitività dell’atto da cui tale debito deriva, esso è normalmente inferiore alla pretesa indicata nell’atto stesso.

L’importo della concreta obbligazione del contribuente dipende infatti dallo stato del contenzioso, dalla tipologia della pretesa e dalla eventuale sentenza già pronunciata.

Se l’atto è ancora suscettibile di impugnazione in primo grado (salvo casi eccezionali di iscrizione a ruolo straordinario) o se è in pendenza di giudizio della Ctp, dal fisco è preteso soltanto un terzo delle sole maggiori imposte accertate. Se, invece, c’è stata sentenza sfavorevole di primo grado, tale obbligazione consiste nei 2/3 delle maggiori imposte e sanzioni. Vi possono poi essere casi in cui, in pendenza di giudizio di primo grado, il fisco non possa pretendere nulla (si pensi, ai casi di contestazioni di abuso del diritto).

Sempre in tale contesto, poi, vi è da comprendere il valore delle pronunce (non definitive) dei giudici. Si pensi a un accertamento il cui pagamento del terzo sia stato sospeso dal giudice tributario o una sentenza favorevole al contribuente di primo o secondo grado. Si tratta di pronunce che di fatto sospendono qualsiasi obbligo di pagamento rispetto a quanto preteso dal fisco.

Applicando il necessario buonsenso, ma dei chiarimenti sono veramente urgenti, vi è da ritenere che occorra far riferimento a quanto dovuto in concreto al momento della partecipazione alla gara e non all’intera iniziale pretesa.

Così, nel caso di impugnazione dell’atto, l’impresa si troverebbe in una posizione assolutamente regolare ove abbia ottenuto la sospensione del pagamento del terzo, o abbia adempiuto (soltanto) a tale onere (anche rateizzando). Analogamente sarebbe in una situazione di piena regolarità in presenza di sentenza totalmente favorevole di primo o di secondo grado, ancorché non definitiva.

Differentemente interpretando, e quindi pretendendo sempre l’estinzione della pretesa iniziale, si costringerebbero di fatto le imprese che lavorano con enti pubblici ad accettare le pretese (anche infondate) degli uffici.

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