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Fattura e non notula del professionista alla Pa: un limite anche per la cash flow tax

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di Ettore Jorio

L’introduzione della fattura elettronica, meglio del sistema di interscambio che impone la trasmissione al debitore (nella specie Pa) della fattura recante le proprie ragioni di credito, ha generato un’anomalia nelle prerogative dei professionisti nell’esigere dalla pubblica amministrazione i loro maturati compensi. Ciò in relazione all’assoggettamento degli stessi all’imponibilità per cassa (articolo 6, comma 2, del Dpr 633/1972) e non già per competenza, cui viene rimessa di impresa.

Le problematiche

L’obbligo di dovere inviare al debitore pubblico la fattura piuttosto che l’abituale proposta di parcella - inspiegabilmente non accettabile dall’introdotto (2013) «sistema di interscambio» dal momento che lo stesso consente l’immissione di documenti di credito/debito rientrabili nelle tre tipologie (fattura/parcella, nota debito e nota credito) che sembrano escluderla - comporta una situazione problematica per i professionisti creditori.

Ciò in quanto, prescindendo dall’obbligo difficilmente rispettato - a quanto risulta - della Pa debitrice di assolvere al pagamento dovuto entro il termine massimo di 60 giorni dall’invio del titolo di credito effettuato a buon fine, si impone al creditore di inserire tra i propri corrispettivi l’ammontare dei compensi recati dalla fattura. Così facendo viene a generarsi un dovere che si contrappone palesemente al criterio di sottoposizione fiscale delle professioni, cui è consentito di dichiarare nel proprio imponibile l’incassato e non già il maturato.

Tutto questo con l’ulteriore conseguente danno, più specificatamente finanziario, concretizzato eventualmente in relazione al pagamento delle relative imposte, atteso che il mancato pagamento non realizza in capo alla Pa debitrice l’obbligo di versamento della ritenuta fiscale corrispondente (oggi del 20%) e del contributo previdenziale previsto per categoria interessata.

Un inconveniente che determina peraltro un onere finanziario a carico del contribuente di dover anticipare nell'esercizio di emissione il pagamento dell’imposta (e dei contributi previdenziali) sui valori complessivi del credito e, nel contempo, di rinviare la compensazione di quello della corrispondente ritenuta fiscale operata successivamente dalla Pa debitrice sui redditi di esercizio corrispondente all’intervenuto versamento per suo conto da parte della Pa medesima. Ciò con la possibilità di avere redditi insufficienti ad utilizzare pienamente la ritenuta operata, da dover portare così a credito d’imposta.

La correzione necessaria
L’attuale situazione di disagio produttivo dei professionisti a seguito dell’epidemia da Covid-19 rende più insopportabile di sempre una siffatta metodologia che andrebbe, pertanto, tempestivamente arricchita delle possibilità offerta di inserire nel sistema di interscambio, in luogo della fattura/parcella, la relativa «proposta di parcella» da sottoporre a trattamento specifico, così come avviene nell’ordinario rapporto di interscambio con i clienti diversi dalla Pa.

Un adempimento da perfezionare attraverso una modifica delle norme vigenti che non potrà essere trascurata anche in considerazione che, a fronte delle fatture indebitamente imposte ai professionisti, non è dato emettere entro la fine dell’esercizio le relative note di credito utili a stornare nell’ordinario un corrispettivo non percepito. Ciò in quanto vietato dall’ordinamento, attesa l’assenza di cause giustificative dell’emissione di una nota di credito, quale documento giustificativo della non imponibilità. Una condizione di assoggettamento alle imposte sul reddito quale naturale conseguenza del trattamento del professionista, riservatogli nel caso di specie, al regime delle imprese, cui viene assolutamente impedito di stornare le proprie fatture in caso di mancato pagamento delle stesse nell’esercizio di emissione.

A ben vedere, un trattamento riservato ai professionisti fornitori della Pa, quello di non consentire loro la trasmissione elettronica della proposta di parcella, che peraltro mal si concilia anche con la tendenza riformatrice di generare una imposizione tributaria generalizzata per cassa, in quanto tale mirata ad assoggettare il cash flow del reddito, indipendentemente se prodotto dall’esercizio delle professioni o dell’impresa. Una conclusione che imporrebbe una immediata correzione dell’attuale anomalia di imporre indebitamente ai professionisti la formulazione e il rilascio di una fattura per rivendicare i pagamenti nei confronti della Pa.