Fatture inesistenti, niente sanzione se non c’è danno per l’Erario
La sesta direttiva Iva deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (Iva) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’Iva in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un ’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale. Tale principio è stato applicato dalla sentenza 4211/1/2019 della Ctr Lombardia, depositata il 25 ottobre 2019, in una fattispecie caratterizzata da un meccanismo di fatturazione per operazioni circolari, per affermare, da un lato, la debenza dell’imposta e , dall’altro, la non applicazione della sanzione in assenza di danno per l’erario e di irregolarità contabili.
Il caso
Arriva l’epilogo di una vicenda giunta in Corte di Giustizia dopo il rinvio pregiudiziale operato dai giudici della Ctr Lombardia (ordinanza 1714/2017). La questione aveva ad oggetto avvisi di accertamento emessi nei confronti di una srl con i quali l’Ufficio disconosceva la detrazione dell’Ivarelativa ad operazioni di cessione di energia elettrica, ritenute oggettivamente inesistenti, meramente contabili ed asseritamente inesistenti nella realtà fattuale, perché poste in essere, nell’ambito del gruppo, per esporre nella propria contabilità valori importanti al solo fine di accedere a canali bancari di finanziamento; la società contribuente aveva sostenuto in giudizio:
a) di aver operato, pur senza avere una vera e propria struttura organizzativa, come trader e grossista nel settore dell’energia elettrica, senza far parte del gruppo;
b) di non essere tenuta a registrare le proprie operazioni sulla Piattaforma dei conti energia (Pce) in assenza di effettivi scambi fisici di energia elettrica, avendo operato con contratti a termine, provati dai contratti e dalle fatture;
c) che la valutazione dell’operatività sociale si sarebbe dovuta condurre su tutto un intero esercizio e non sulle singole operazioni;
d) che lo scopo, pur contestato, di ottenere maggiori finanziamenti bancari non sarebbe fiscalmente rilevante secondo giurisprudenza di legittimità (Cassazione 12200/2008).
L’Ufficio ricordava come in diversi provvedimenti della Cassazione avessero confermato l’indetraibilità dell’Iva in capo all’utilizzatore di fatture per operazioni sottostanti inesistenti, mentre l’imposta è contestualmente dovuta dall’emittente in base al principio di cartolarità. I giudici milanesi giungevano a formulare la domanda di rinvio pregiudiziale dopo un percorso logico di esame dei fatti contestati, delle norme nazionali di riferimento (Dpr 633/1972), della giurisprudenza di legittimità in rapporto con i principi contenuti nella sesta direttiva e nella costante giurisprudenza della Cgue.
Dai numerosi principi richiamati nel provvedimento di rinvio emergeva come il sistema comune dell’Iva poggi su due principi cardine:
•l’Iva riscossa su ogni prestazione di servizi e su ogni cessione di beni effettuate a titolo oneroso da un soggetto passivo;
•il principio di neutralità fiscale che si oppone al fatto che operatori economici che effettuano le stesse operazioni siano trattati diversamente sulla riscossione dell’imposta.
La decisione
Pertanto, affermava la Ctr, non può essere consentita la detrazione per mancanza del presupposto di un effettivo acquisto di beni e servizi; nel caso in cui un’operazione per la quale sia stata emessa e registrata fattura venga meno in tutto o in parte il cedente nelle ipotesi e nel termine previsto dalla legge, ha diritto di registrare e portare in detrazione l’Iva, mentre a lui dovrà rivolgersi il cessionario per avere la restituzione dell’importo pagato, a titolo di rivalsa. Solo il rispetto del principio di neutralità consente, come da insegnamento della Cassazione, di evitare la perdita di gettito per l’erario conseguente all’utilizzazione in detrazione di una fattura emessa per operazioni inesistenti da parte di soggetti poi inadempienti o potenzialmente inadempienti ai propri obblighi fiscali. Nel caso di specie, avente ad oggetto vendite e acquisti simulati ed esclusa la “ frode carosello”, il Collegio regionale chiedeva se fosse conforme ai principi comunitari la pretesa di richiedere di volta in volta l’imposta Iva sia al cedente che l’ha versata e non ha la possibilità, decorso il termine annuale, di ottenere il rimborso portandola a credito, che al cessionario al quale è inibita la detrazione; ciò avveniva, come prospettato dall’Ufficio, con l’apparente “riacquisto” da parte dello stesso soggetto dell’energia apparentemente in origine ceduta; condotta che di fatto comportava la neutralizzazione di qualsiasi vantaggio fiscale, per effetto della “circolarità” delle cessioni e nessun danno erariale.
La Corte di giustizia
La Cgue (sentenza della prima sezione dell’8 maggio 2019/Causa C-712/17) si pronunciava affermando il principio in premessa. La Ctr recepiva tale interpretazione che ha quindi confermato la legittimità della normativa nazionale (articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972) in quanto l’ordinamento interno consente in alcuni casi (articolo 26 del Dpr 633/1972) di emettere una nota di variazione, recuperando l’Iva indebitamente assolta; in alternativa poi il contribuente può sempre optare per l’esercizio dell’azione generale di rimborso della stessa Iva, previa dimostrazione di aver eliminato qualsiasi potenzialità dannosa per l’Erario. Sotto il profilo sanzionatorio, però, la Ctr ritiene di dover annullare le sanzioni irrogate dall’Ufficio «in dichiarata assenza di danno erariale ed assenza di irregolarità contabili».
Ctr Lombardia, sentenza 4211/1/2019