Fatture irregolari per il forfait: rischio contestazioni e reati
L’innalzamento a 65mila euro della soglia di ricavi e compensi per l’accesso al regime forfettario spinge molti contribuenti a a cercare di rientrarvi. È bene capire, allora, quale sia il confine da non valicare, e quali le conseguenze per chi - magari con leggerezza - dovesse muoversi con troppa disinvoltura.
Poniamo il caso in cui presso una stessa struttura operino più contribuenti titolari di partita Iva (professionisti, imprenditori individuali, artigiani, eccetera) alcuni dei quali usufruiscono del forfettario: facendo fatturare a questi le prestazioni svolte dal contribuente in regime ordinario si ottiene un rilevante risparmio di imposta. Si fa riferimento ovviamente alle ipotesi in cui il lavoratore autonomo, l’imprenditore o l’artigiano in regime forfettario sia del tutto estraneo alla prestazione eseguita, diventando semplicemente il soggetto emittente la fattura; in caso contrario, invece, non vi è alcuna irregolarità, anzi egli è tenuto a fatturare le prestazioni.
L’emissione di una fattura da parte del forfettario, relativa a una prestazione eseguita da un soggetto differente, potrebbe configurare un caso di interposizione fittizia. L’articolo 37 del Dpr 600/73 prevede che in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio siano imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne sia l’effettivo possessore per interposta persona. Il Fisco, in questa ipotesi, potrebbe accertare le maggiori imposte in capo all’effettivo esecutore del servizio, gravate da interessi e sanzioni.
In tal caso, le persone interposte (quindi il forfettario) che provino di aver pagato imposte per i redditi poi imputati ad altro contribuente, potranno chiedere il rimborso. L’ufficio vi procederà solo dopo che l’accertamento, nei confronti dell’interponente, sarà divenuto definitivo.
La fattura emessa dal forfettario per una prestazione che non ha in alcun modo eseguito è soggettivamente inesistente, poiché riferita ad un’operazione realmente avvenuta ma svolta da un soggetto diverso.
Ai fini penali si potrebbe configurare il reato di emissione di fatture false, disciplinato dall’articolo 8 del Dlgs 74/2000, secondo cui è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sull’Iva, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
L’emissione di tale fattura consentirebbe il risparmio d’imposta al soggetto che ha eseguito realmente la prestazione, il quale pagherebbe imposte ordinarie e non agevolate. L’interponente, peraltro, potrebbe rispondere in concorso nel reato con il soggetto che ha emesso la fattura, visto che verosimilmente è stato l’ideatore o ispiratore della condotta illecita volta al proprio risparmio d’imposta. Il contribuente “ordinario”, inoltre, a seconda dell'entità delle fatturazioni omesse potrebbe rispondere anche di dichiarazione infedele ove fossero superate le soglie di punibilità.
Da ultimo non si possono escludere conseguenze in capo a chi ha registrato la fattura. Il documento è soggettivamente inesistente poiché attesta prestazioni realmente eseguite, ma da un soggetto diverso. Sotto un profilo fiscale, il costo, se inerente, è deducibile dal reddito, mentre l’Iva è detraibile solo se l’acquirente dimostri la propria buona fede (ma in questo caso nessuna Iva è stata detratta in quanto il forfettario non addebita l’imposta in fattura). Da considerare comunque che la registrazione di una fattura soggettivamente inesistente, a prescindere dal valore, è una condotta penalmente rilevante punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni ove venga dimostrato il fine di evadere le imposte.
Queste considerazioni non devono tuttavia creare allarmismi: nessun rischio, infatti, è ravvisabile se il soggetto in regime forfettario emette la fattura per una prestazione in parte svolta anche da altri, i quali a loro volta fattureranno le proprie competenze. Si tratta di ordinari rapporti commerciali che nulla hanno a che vedere con la strumentalizzazione del regime di favore.